domenica 15 dicembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n 44 "IL PARADISO DEGLI ORCHI" D. Pennac

Come direbbe un mio amico "posa da raddrizzabanane"



Titolo: “Il Paradiso degli Orchi”
Autore: Daniel Pennac
Edito: Universale Economica Feltrinelli
Numero pagine: 202
Mese: Novembre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: insegnante di lettere, primo anno.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Ohy madunina come mi piace riprendere in mano libri con su ancora il prezzo in lire.
Eh già, ho dato aria alla libreria, ragazzi.
Tutto per una cosa che è partita tra me, e un paio di amici.
Si parlava di scuola e letture.
E così, dal detto al fatto, mi è tornata alla mente la mia insegnante di lettere del primo anno.
Ci aveva la fissa, lei, di leggere i miei temi e poi lasciare i commenti a piè di pagina, assieme al voto.
Commenti che non scriverò, mica per falsa modestia ma perché non mi sembra il caso, tutto qui.
Va beh, assieme a tutte quelle belle parole, ogni volta, mi assegnava un libro da leggere.
Ora, io me ne ricordo due in particolare.
Uno è stato “Bar Sport” di Stefano Benni, l’altro –giust’ appunto- “Il paradiso degli Orchi” di Pennac.
“Leggili devi leggerli” mi diceva.
Solo di leggerli, poi potevo trarci le conclusioni che volevo.
Non mi chiedeva nemmeno un parere in merito.

Ora è arrivato il momento di pagare i miei debiti, credo.
Veniamo indi al dunque.

C’è da ammettere che la prima volta –quando ho preso questo libro che ero nel primo anno delle scuole superiori- dopo un po’ di pagine l’ho chiuso e riposto nell’armadio.
Non ero ancora nel periodo masochista, quello in cui mi ritrovo adesso, che per orgoglio se comincio un libro devo portarlo a termine.
Questa è la prova che invecchiando si peggiora.

Ovviamente, non c’è da precisare che questa volta mi sono fatta forza e sono arrivata alla pagina 202.
Clap-clap (pacca sulla spalla) “braaaava Silvia!”

Apro e m’imbatto nelle prime righe.
Non faccio in tempo ad amare il cinismo di Pennac che taaaaac, eccola: mi piomba addosso la pesantezza che contraddistingue lo scrittore medio francese.

La trama è tutto fuorché semplice da raccontare per cui faccio appello alla vostra fantasia con queste poche parole:
ci sono una serie di fratelli senza genitori, degli anziani, un cane epilettico, una giornalista, un grande magazzino, un ufficio reclami.
Poi succedono delle esplosioni a catena e c’è da capire chi è l’artefice.

Che a vedar no l’è nean mal.

Non sarebbe male se lo scrittore non poggiasse le sue descrizioni a una serie di parentesi ed elenchi. Gli elenchi sembrano affare da poco, ma vi assicuro che crearli non è affare da poco. Quando si leggono bisogna trovarsi davanti a una serie di emozioni e non davanti all’impressione di avere sotto mano una lista della spesa.

Ho come l’idea che Pennac creda gli aggettivi, i sostantivi, i verbi siano cose da sfigati.
E capisco che decide di non farne uso per dare al romanzo un ritmo poliziesco, ma non lo apprezzo.
E poi, poi Il protagonista si ritrova di spesso a parlare in prima persona plurale.
A me le persone che usano il plurale maiestatis i me-sta-su i cojoni.
Ragazzi.
Ragazzi, stiamo parlando di personaggi che mangiano “sedano in salsa remolata”.
La salsa remolata sembra una cosa morta di recente o non ancora viva, non trovate?
Quindi cosa dobbiamo aspettarci da gente così?

Tutto e niente.

Il finale devo ammettere mi è pure piaciuto, ma a mio avviso doveva fermarsi un po’ prima.
Proprio nel mentre che il protagonista si lancia contro l’ordigno esplosivo camuffato nelle sembianze di un King Kong giocattolo. Fine della storia e ognuno si porti a casa quel che vuole.

E’ strano, come alcuni scrittori aggiungono e tolgono parole quando non serve, non trovate?
E ancor più strano come influenzano  il tuo modo di scrivere dopo averli letti, non credete?


Ora non posso andare oltre, vi saluto lasciandovi il metodo di preparazione per una salsa remolata coi controfiocchi.




1- Prendi una terrina. Mettigli la salsa maionese, la mostarda bruna, un cucchiaio di capperi. Prendi un cucchiaio di cetrioli sott'aceto, tritali ed alla fine strizzali aiutandoti con un canovaccio, aggiungi anche mezzo cucchiaio di prezzemolo. Prendi un poco di cerfoglio, tritala ed aggiungi anche questa.

2- Per finire di preparare il composto trita anche un mazzetto di dragoncello ed aggiungi anche questo a tutto il resto che c'è già nella terrina. Metti anche un cucchiaio di acciuga e completa con un pizzico di sale ed anche di pepe. Poi inizia a mescolare il tutto per bene in modo da amalgamarsi assieme.
3- Continua a mescolare fino a quando non si sarà formato una salsa ben unita con tutti i componenti, dopodichè la puoi conservare in frigo fino al momento di usarla in una delle tante pietanze che la richiede od anche offrendola a persone che la gradiscono sui cibi. Vedrai che di certo non dispiacerà.




sabato 7 dicembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n 43 "CORTINA DI FUMO", R.Sabbag



Titolo: “Cortina di Fumo”
Autore: Robert Sabbag
Edito: Edizioni Socrates
Numero pagine: 331
Mese: Ottobre/Novembre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: ahimè, la copertina.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Immaginate la storia di un giovane aspirante regista vissuto ai tempi della Summer of love.
Un regista, che come tutti i più grandi registi del passato prima di lui (Ford, Truffaut, Orson Welles, Fellini, solo per citarne alcuni) decide di fare tutto quel che serve per avviare una carriera nel mondo del cinema: diventare un trafficante di marijuana.
Questo regista, che per la precisione si chiama Allen Long, è vissuto per davvero.
Quindi immaginate sì è vero una storia, ma tenete conto che ciò di cui stiamo parlando non è fantasia, bensì realtà.
Allen Long, giovane studente rampollo, ha un bisogno costante di fondi, per far nascere il proprio documentario, un documentario che parla del traffico di droga. I soldi non bastano mai. Così, quasi per sbaglio si ritrova a vivere prima da spettatore ma poi con tutti i due piedi, nel fantastico mondo della Ganja.
Cominciano i viaggi verso la Colombia, con una squadra e dei mezzi di trasporto a dir poco sgangherati.
Comincia a conoscere le persone giuste, e via a discorrere.
Poi si rende conto che coi soldi che riesce a recuperare con la droga, non solo ci si può fare un documentario, ma ci si può prendere un Harley, e che è incredibile quanta gnocca  riesce a rimediare un Harley e la storia, cambia registro.
La tipica giornata, diventa quella di chi è sulla vetta del mondo.
Uno si alza dal letto alle 3 del pomeriggio, e si muove ovunque ci sia una bella festa con la consapevolezza di aver fatto entrare nella cultura di quel tempo un’amabile sensazione di tranquillità e con la fierezza di essere parte responsabile nell’alimentarla.
Periodi altalenanti, in cui ci si abitua ad essere ricchi quando non si è più al verde.
E Long diventa come una sorta di rock star: aerei, droghe, feste, donne, leggerezza.
Anzi meglio di una rock star perché per vivere così, non deve nemmeno troppo sbattersi a girare il mondo.
E’ in California, e questo può bastare.
Nel giro di poco, Long passa da spacciatore a trafficante intermediario.
Un broker affarista senza più il gusto dell’avventura.
Questo stallo, provoca in Long una forte depressione tant’è che decide di abbandonare il giro perché capisce di essere un trafficante intrappolato in un corpo da spacciatore. Torna alle origini, torna in sud America a trattare coi colombiani, come all’inizio della sua carriera.
La prende nel culo dai suoi soci, decide di chiudere con il passato, riapre la porta e torna ad essere un gangster o qualcosa di simile.
La storia finisce che la prende nel culo su tutti i fronti.

Scrivere un libro basandosi su questa storia, avrebbe un ottimo potenziale.
Un ottimo potenziale che però a Cortina di Fumo, manca.

Ne esce certo uno stile ironico, fresco, ma allo stesso tempo troppo documentaristico, che non concede al libro il grip necessario per invogliarti a procedere velocemente nella lettura.
E’ tutto un parlare di chili di soldi - chili di droga, carica - scarica, di più - di più, tanto più che a tratti, pare di trovarsi di fronte all’inventario del reparto ortofrutta dell’Esselunga piuttosto che davanti a una storia bella e buona.

Ci sono più personaggi all’interno di queste pagine che nei Malavoglia ma sono tutti ben definiti, per questo non puoi confonderti.
Mi è piaciuto molto il modo di descriverli dell’autore. Ogni persona ha le proprie caratteristiche bizzarre e diverse, l’autore –c’è da dirlo- ha un modo particolare per delineare i tratti dei suoi protagonisti.
Ho trovato interessante anche l’epilogo in cui lo scrittore, come in un film, tiene farci sapere che fine han fatto tutti col passare del tempo esattamente da dove la storia per il lettore è finita.

Però, manca il grip.
E ‘mazza che fadiga è stata arrivar in fondo.