domenica 15 dicembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n 44 "IL PARADISO DEGLI ORCHI" D. Pennac

Come direbbe un mio amico "posa da raddrizzabanane"



Titolo: “Il Paradiso degli Orchi”
Autore: Daniel Pennac
Edito: Universale Economica Feltrinelli
Numero pagine: 202
Mese: Novembre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: insegnante di lettere, primo anno.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Ohy madunina come mi piace riprendere in mano libri con su ancora il prezzo in lire.
Eh già, ho dato aria alla libreria, ragazzi.
Tutto per una cosa che è partita tra me, e un paio di amici.
Si parlava di scuola e letture.
E così, dal detto al fatto, mi è tornata alla mente la mia insegnante di lettere del primo anno.
Ci aveva la fissa, lei, di leggere i miei temi e poi lasciare i commenti a piè di pagina, assieme al voto.
Commenti che non scriverò, mica per falsa modestia ma perché non mi sembra il caso, tutto qui.
Va beh, assieme a tutte quelle belle parole, ogni volta, mi assegnava un libro da leggere.
Ora, io me ne ricordo due in particolare.
Uno è stato “Bar Sport” di Stefano Benni, l’altro –giust’ appunto- “Il paradiso degli Orchi” di Pennac.
“Leggili devi leggerli” mi diceva.
Solo di leggerli, poi potevo trarci le conclusioni che volevo.
Non mi chiedeva nemmeno un parere in merito.

Ora è arrivato il momento di pagare i miei debiti, credo.
Veniamo indi al dunque.

C’è da ammettere che la prima volta –quando ho preso questo libro che ero nel primo anno delle scuole superiori- dopo un po’ di pagine l’ho chiuso e riposto nell’armadio.
Non ero ancora nel periodo masochista, quello in cui mi ritrovo adesso, che per orgoglio se comincio un libro devo portarlo a termine.
Questa è la prova che invecchiando si peggiora.

Ovviamente, non c’è da precisare che questa volta mi sono fatta forza e sono arrivata alla pagina 202.
Clap-clap (pacca sulla spalla) “braaaava Silvia!”

Apro e m’imbatto nelle prime righe.
Non faccio in tempo ad amare il cinismo di Pennac che taaaaac, eccola: mi piomba addosso la pesantezza che contraddistingue lo scrittore medio francese.

La trama è tutto fuorché semplice da raccontare per cui faccio appello alla vostra fantasia con queste poche parole:
ci sono una serie di fratelli senza genitori, degli anziani, un cane epilettico, una giornalista, un grande magazzino, un ufficio reclami.
Poi succedono delle esplosioni a catena e c’è da capire chi è l’artefice.

Che a vedar no l’è nean mal.

Non sarebbe male se lo scrittore non poggiasse le sue descrizioni a una serie di parentesi ed elenchi. Gli elenchi sembrano affare da poco, ma vi assicuro che crearli non è affare da poco. Quando si leggono bisogna trovarsi davanti a una serie di emozioni e non davanti all’impressione di avere sotto mano una lista della spesa.

Ho come l’idea che Pennac creda gli aggettivi, i sostantivi, i verbi siano cose da sfigati.
E capisco che decide di non farne uso per dare al romanzo un ritmo poliziesco, ma non lo apprezzo.
E poi, poi Il protagonista si ritrova di spesso a parlare in prima persona plurale.
A me le persone che usano il plurale maiestatis i me-sta-su i cojoni.
Ragazzi.
Ragazzi, stiamo parlando di personaggi che mangiano “sedano in salsa remolata”.
La salsa remolata sembra una cosa morta di recente o non ancora viva, non trovate?
Quindi cosa dobbiamo aspettarci da gente così?

Tutto e niente.

Il finale devo ammettere mi è pure piaciuto, ma a mio avviso doveva fermarsi un po’ prima.
Proprio nel mentre che il protagonista si lancia contro l’ordigno esplosivo camuffato nelle sembianze di un King Kong giocattolo. Fine della storia e ognuno si porti a casa quel che vuole.

E’ strano, come alcuni scrittori aggiungono e tolgono parole quando non serve, non trovate?
E ancor più strano come influenzano  il tuo modo di scrivere dopo averli letti, non credete?


Ora non posso andare oltre, vi saluto lasciandovi il metodo di preparazione per una salsa remolata coi controfiocchi.




1- Prendi una terrina. Mettigli la salsa maionese, la mostarda bruna, un cucchiaio di capperi. Prendi un cucchiaio di cetrioli sott'aceto, tritali ed alla fine strizzali aiutandoti con un canovaccio, aggiungi anche mezzo cucchiaio di prezzemolo. Prendi un poco di cerfoglio, tritala ed aggiungi anche questa.

2- Per finire di preparare il composto trita anche un mazzetto di dragoncello ed aggiungi anche questo a tutto il resto che c'è già nella terrina. Metti anche un cucchiaio di acciuga e completa con un pizzico di sale ed anche di pepe. Poi inizia a mescolare il tutto per bene in modo da amalgamarsi assieme.
3- Continua a mescolare fino a quando non si sarà formato una salsa ben unita con tutti i componenti, dopodichè la puoi conservare in frigo fino al momento di usarla in una delle tante pietanze che la richiede od anche offrendola a persone che la gradiscono sui cibi. Vedrai che di certo non dispiacerà.




sabato 7 dicembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n 43 "CORTINA DI FUMO", R.Sabbag



Titolo: “Cortina di Fumo”
Autore: Robert Sabbag
Edito: Edizioni Socrates
Numero pagine: 331
Mese: Ottobre/Novembre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: ahimè, la copertina.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Immaginate la storia di un giovane aspirante regista vissuto ai tempi della Summer of love.
Un regista, che come tutti i più grandi registi del passato prima di lui (Ford, Truffaut, Orson Welles, Fellini, solo per citarne alcuni) decide di fare tutto quel che serve per avviare una carriera nel mondo del cinema: diventare un trafficante di marijuana.
Questo regista, che per la precisione si chiama Allen Long, è vissuto per davvero.
Quindi immaginate sì è vero una storia, ma tenete conto che ciò di cui stiamo parlando non è fantasia, bensì realtà.
Allen Long, giovane studente rampollo, ha un bisogno costante di fondi, per far nascere il proprio documentario, un documentario che parla del traffico di droga. I soldi non bastano mai. Così, quasi per sbaglio si ritrova a vivere prima da spettatore ma poi con tutti i due piedi, nel fantastico mondo della Ganja.
Cominciano i viaggi verso la Colombia, con una squadra e dei mezzi di trasporto a dir poco sgangherati.
Comincia a conoscere le persone giuste, e via a discorrere.
Poi si rende conto che coi soldi che riesce a recuperare con la droga, non solo ci si può fare un documentario, ma ci si può prendere un Harley, e che è incredibile quanta gnocca  riesce a rimediare un Harley e la storia, cambia registro.
La tipica giornata, diventa quella di chi è sulla vetta del mondo.
Uno si alza dal letto alle 3 del pomeriggio, e si muove ovunque ci sia una bella festa con la consapevolezza di aver fatto entrare nella cultura di quel tempo un’amabile sensazione di tranquillità e con la fierezza di essere parte responsabile nell’alimentarla.
Periodi altalenanti, in cui ci si abitua ad essere ricchi quando non si è più al verde.
E Long diventa come una sorta di rock star: aerei, droghe, feste, donne, leggerezza.
Anzi meglio di una rock star perché per vivere così, non deve nemmeno troppo sbattersi a girare il mondo.
E’ in California, e questo può bastare.
Nel giro di poco, Long passa da spacciatore a trafficante intermediario.
Un broker affarista senza più il gusto dell’avventura.
Questo stallo, provoca in Long una forte depressione tant’è che decide di abbandonare il giro perché capisce di essere un trafficante intrappolato in un corpo da spacciatore. Torna alle origini, torna in sud America a trattare coi colombiani, come all’inizio della sua carriera.
La prende nel culo dai suoi soci, decide di chiudere con il passato, riapre la porta e torna ad essere un gangster o qualcosa di simile.
La storia finisce che la prende nel culo su tutti i fronti.

Scrivere un libro basandosi su questa storia, avrebbe un ottimo potenziale.
Un ottimo potenziale che però a Cortina di Fumo, manca.

Ne esce certo uno stile ironico, fresco, ma allo stesso tempo troppo documentaristico, che non concede al libro il grip necessario per invogliarti a procedere velocemente nella lettura.
E’ tutto un parlare di chili di soldi - chili di droga, carica - scarica, di più - di più, tanto più che a tratti, pare di trovarsi di fronte all’inventario del reparto ortofrutta dell’Esselunga piuttosto che davanti a una storia bella e buona.

Ci sono più personaggi all’interno di queste pagine che nei Malavoglia ma sono tutti ben definiti, per questo non puoi confonderti.
Mi è piaciuto molto il modo di descriverli dell’autore. Ogni persona ha le proprie caratteristiche bizzarre e diverse, l’autore –c’è da dirlo- ha un modo particolare per delineare i tratti dei suoi protagonisti.
Ho trovato interessante anche l’epilogo in cui lo scrittore, come in un film, tiene farci sapere che fine han fatto tutti col passare del tempo esattamente da dove la storia per il lettore è finita.

Però, manca il grip.
E ‘mazza che fadiga è stata arrivar in fondo.







giovedì 28 novembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n 42 "TROPPA FELICITà", A. Munro


Titolo: “Troppa Felicità”
Autore: Alice Munro
Edito: Einaudi
Numero pagine: 327
Mese: Ottobre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: Il premio Nobèl


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Va’ che sono ignorante, eh.
Capirai che c’è di nuovo.
Mi chiedo quanti altri autori riempiono le librerie e io, non conosco.
Tanti, non riuscirò a vivere abbastanza per conoscerli tutti.
Poi ovvio, a volte perdo tempo e mi abbandono in fantasticherie, tipo mettermi alla prova e intrattenermi con titoli che so già dal principio mi faranno cagarissimo.
Come la volta che per sfidare me stessa ho letto le cinquanta sfumature, o De Luca, o Smettere di Fumare è facile se bla bla bla bla.
Tempo, perdo tempo, questo è il fatto.

Poi la Munro vince il nobèl per la letteratura.
Il 10 Ottobre del 2013.
L’anno in cui sto scrivendo.
Tra i candidati c’era pure Vecchioni, lo sapevate?
Vecchioni Roberto, il cantante.

Devo ammettere che prima di allora conoscevo Vecchioni ma non la Munro.
E devo aggiungere, che incuriosita dalla medaglia consegnata a questa fantastica canadese, mi sono precipitata nelle maggiori librerie della mia città.
Con vergogna, tengo far sapere che la risposta che ho avuto nella maggior parte di questi negozi è stata “per ora non abbiamo nulla, ma con la scusa che ha vinto il premio ora ci riforniremo.”

Cosa?
Mo’ portate pazienza.
Io sono una pettinatrice di pollami, mi sento in qualche modo giustificata se possiedo delle enormi lacune, ma caspita, una libreria che non ha in catalogo nessun libro della Munro?
Ma dove viviamo?

Adesso faccio come quelli della Settimana Enigmistica.
Lo sapevate che ?
Era il 1888 quando Alfred Nobel, l’inventore della dinamite, lesse sul giornale la notizia della sua morte. Quello che forse più lo colpì fu come venne annunciata: “E’ morto il mercante di morte”. In realtà chi era morto era suo fratello, ma la notizia gli provocò una certa apprensione circa il modo in cui sarebbe stato ricordato. Così, un po’ come gli Scrovegni riscattarono una vita da strozzini facendo costruire e affrescare da Giotto la famosa cappella, Alfred Nobel decise che voleva essere ricordato diversamente e inventò il Premio Nobel. Grazie alle sue precedenti 355 invenzioni, il chimico e ingegnere svedese aveva infatti accumulato una straordinaria fortuna.

Io non lo sapevo, ad esempio.
Adesso lo so.
Insomma, ordino un paio di libri della Munro, e torno la settimana poi.
I titoli li ho scelti seguendo i consigli di chi la Munro già la conosceva.
Prendo Nemico, Amico, Amante e Troppa Felicità.

E di Troppa felicità ora mi metto a parlare.
10 racconti.
Racconti da cui non sai mai cosa aspettarti.
Storie che cominciano in un modo, proseguono in un altro e si concludono in un’altra maniera ancora, tutto in un susseguirsi di sorprese, senza artificiali colpi di scena.


Vedete, questo blog, è nato soprattutto per un’esigenza personale.
Tra i grandi difetti che ho, uno è quello di non riuscire a ricordare a distanza di tempo ciò che ho letto.
Se ad esempio mi chiedete “hai letto tal libro?” posso rispondervi sì o no.
Ma il mio giudizio –prima del blog- si fermava a un semplice “mi è piaciuto” o “l’ho trovato debole” o “non m’è piaciuto affatto.”
Ora, nel momento in cui sento l’esigenza di risvegliare la mia memoria, scovo nell’archivio, cerco il titolo e leggendo poche righe, le sinapsi del mio cervello riprendono a fare il loro dovere.

Alice Munro però è una di quelle scrittrice che ti restano dentro pure quando chiudi, finisci il libro, e lo riponi sullo scaffale.
I suoi racconti, continuano a viaggiarti nella testa.
Basta ritrovarti in una tal situazione e tac- la Munro ti tamburella nelle tempie.

Ad esempio -e mi limito a farne solo uno-  pochi giorni fa sentivo qualcuno lamentarsi del fatto che la propria madre non chiude mai la porta a chiave. Tac- ecco che è emerso il suo “Radicali liberi”, racconto che fa appunto parte di questa raccolta.

 Nella sua penna, c’è delicatezza, forza, originalità non ostentata, una spiccata sensibilità in grado di mettere a nudo un genere umano caratterizzato a sua volta da un’insieme di apparenze fatte di crudeltà, illusioni, bugie e apparenze.

E tu riesci ad essere lì, nelle ambientazioni che descrive, ne percepisci gli odori, i profumi, i suoni, i colori.
La Munro sa darti tanto senza divagare, è diretta, non si perde a discorrere servendosi d’ inutili dettagli, e con questo non intendo dire che conta le parole,  semplicemente sa come dosarle.
Pare riesca a capire quanto basta al lettore per essere coinvolto, sia sul piano emotivo che fisico.

Non ti resta altro da fare che divorare le pagine per sapere cos’altro la prossima storia avrà in serbo per te.

L’ho amata dal primo istante.
Di un amore che si concede solo a chi ha una marcia in più e pare quasi non rendersene conto.





lunedì 25 novembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n41 "FENICOTTERI IN ORBITA", P. Ridley



Titolo: “Fenicotteri in Orbita”
Autore: Philip Ridley
Edito: Mondadori
Numero pagine: 216
Mese: Ottobre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: Consigliato dal mio amico, che io chiamo “Il Mona”.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Succede che un pomeriggio io e il mio amico –io lo chiamo “Il Mona” per questioni di simpatia- decidiamo di vederci.
Ci si vede poco, noi due, per questo lo chiamo così, anche.
Poi in realtà lè un Mona per tanti altri motivi.
Beh va beh, dicevo, così senza programmi finisce che passiamo tutto il pomeriggio in giro per mercatini del libro usato, qui a Verona.
Era Mercoledì, un mercoledì.
Ne giriamo due in realtà di mercatini, che noi quando si va per libri è come buttare una dolseta da Intimissimi.
 Impazziamo e non sappiamo più dove guardare, passa il tempo che neanche ce se ne accorge.

E’ stato dentro al primo mercatino che ho comprato “Fenicotteri in Orbita”.
Gli ho detto Mona, fa un piaser, ruma e catame fora qualcosa de figo  alà.
(trad. Amico fammi un piacere, rovista in quella cesta e trova fuori qualcosa d’interessante, suvvia.)
Che quel mio amico lì, mona lè mona, ma secondo me sa che libri potrebbero piacermi.
Lui di libri ne sa a pacchi, che mona l’è mona, ma el sa el fatto suo.

Ora io lascerei perdere tutta la trafila che ci è toccata fare per pagare sto cavolo de libro.
In quel mercatino lì, hanno delle pratiche burocratiche da seguire, se sto qui a spiegarvele facciamo notte.
Vi basti sapere che, dal momento in cui quel libro è stato estratto dalla famosa cesta, è dovuto passare prima sotto 6 occhi, poi per 12 mani, poi per un registro, poi per una pausa, poi di nuovo per altre 2 mani e altri 2 occhi, poi di nuovo per un registro, poi per una pausa, poi per uno scambio di opinioni su come si dice “sotto pressione” in inglese, poi sotto una penna, poi per  uno scambio di divergenze sul razzismo, poi dalla mano destra di una persona, poi dalla mano destra di un’altra persona, e infine per un’ultima mano destra di un’ultima persona.
Poi finalmente è diventato mio a tutti gli effetti.
Una volta messo al sicuro nella mia borsa, l’ho ritrovato in stato confusionale.
Se siete pronti a credermi, quel libro mi ha parlato.
Mi ha detto
“Sono stati i due euro più sudati della mia vita”.
Ma non possiamo stare qui a parlare di disgrazie per tanto, andiamo oltre.



Una raccolta di racconti niente male, c’è da dirlo.
Se uno mi dicesse “Oh, ho voglia di leggere qualcosa di veloce ma intenso, cosa consigli?”.
Probabilmente gli presterei questo.
Magari gli farei fare un po’ di giri prima, così, per ricordargli da dove viene.


Ridley è inglese, lo stampo inglese lo vedi subito.
Avrei potuto non documentarmi sull’autore, mettere la mano sul fuoco e dire E’ inglese.
Lo capisci dai colori.

Il linguaggio è diretto, asciutto, fluido, veloce, senti il profumo del sospetto nei confronti di tutto e di tutti.
In ogni storia, è messo in gioco il tema del sesso, e il tutto viene trattato con uno stile scuro, agghiacciante, scorretto, violento.
Nella sua semplicità, ogni aneddoto è in grado di scatenare domande con i suoi finali aperti.
Lo scrittore diventa forse mediocre, quando a tratti cerca riparo in un gratuito buonismo, e in un banale moralismo anticonformista.
Cosa che a me in genere poco esalta quando salta fuori da qualsiasi penna.
Questa però è una scivolata che all’autore concedo, considerando che Fenicotteri in Orbita è nato come libro per ragazzi.
In Inghilterra sono più avanti di noi sotto questo aspetto.
Da noi, nelle scuole, propongono ancora “Il Piccolo Principe”.
Fa te.
Che cul.
E poi ci lamentiamo perché semo indrio come la coa del musso.
(trad. siamo dei conservatori)

Tornando al libro in questione, ho apprezzato la maestria con cui Ridley riesce a giocare con gli spazi temporali. Lo fa in maniera naturale, senza farci confusione, miscelando il tutto fino a formare un racconto armonico che nel suo insieme, riesce paradossalmente a girare come le lancette di un orologio.
E’ il mago dell’ansia e qui mi spiego.
Quando vuole fartela venire, usa tutte le altre parole fuorché quella.
E lo so che mi sono spiegata male, ma insomma, io mica sono scrittrice per cui se volete capire cose intendo, procuratevi il libro.

13 racconti che sanno provocare.
Un bel gioco di contrasti tra l’universo giovanile e il mondo adulto, che si scontrano drammaticamente in una sfida senza vittime e carnefici, tra toni aspri e poetici, tra innocenza ed esperienza, il tutto rinchiuso nel pugno della quotidianità.



Poi dopo, tornando a parlare degli affari miei, io e il Mona abbiamo sospeso il tour dei mercatini.
Abbiamo guardato l’orologio, ci siamo salutati in tutta fretta.
Ognuno con una scusa diversa.
A noi ci piace raccontarci delle bugie bianche.
In cuor nostro entrambi sapevamo che quel giorno era Mercoledì.
E che il Mercoledì sul canale 3 della Rai
fanno una interessante trasmissione.




lunedì 4 novembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n30 "Il Profumo delle Foglie di Limone" C.Sanchez

Chi si addormenta leggendo, chi si addormenta scrivendo


Titolo: “Il Profumo delle Foglie di Limone”
Autore: Clara Sanchez
Edito: Garzanti
Numero pagine: 361
Mese: Settembre/Ottobre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: prestato dalla mia collega “questo lo devi leggere” ha detto.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

E’ il primo romanzo di uno spagnolo che leggo, non scrivo spagnola perché c’è pieno di maliziosi qua in giro.
 Di una scrittrice che viene dalla Spagna, diciamo.
Se non me l’avesse prestato la mia collega, dicendomi “Questo lo devi leggere”, molto probabilmente non l’avrei comprato di mia iniziativa.
 Non so dire il perché.
Forse perché so’ che gli spagnoli parlano la stessa lingua dei sud americani e lo stile dei sud americani mi fa venire le malinconie, la gastrite e un principio di cistite. Tutto insieme.
Una volta ho letto Coelho e ho preso il vaiolo.
 Clara Sanchez non sapevo come affrontarla, con le novità è sempre così.

Già dalle prime pagine, il suo stile introspettivo mi faceva venire voglia di andare a Roma, strappare le budella alla D’Urso e legarmele strette intorno al collo.
Però poi la trama risultata avvincente, per questo ho abbandonato il mio viaggio e mi sono lanciata in quello della Sanchez.

Il tema, è un evergreen.
La storia della persecuzione ebrea.
Un argomento che tritalo come vuoi, ognuno lo racconta a suo modo.
Ne “Il profumo delle foglie di limone” c’è l’odore della rivincita.
Anche la rivincita degli ebrei nei confronti degli ufficiali nazisti è già stata raccontata in tutte le salse.
Ci piace sempre, anche se spesso la moralità ci annoia e tendiamo a voler veder vincere i cattivi.
Non in questo caso.

Su questo argomento ne so di più dal punto di vista cinematografico.
Film come Train de Vie, Bastardi Senza Gloria e This Must be The Place, sono l’uno totalmente differente dall’altro ma vivono della stessa linfa.
Toccano i nervi giusti.
 Funzionano, appassionano, stupiscono, a tratti sembrano essere surreali sebbene parlino di un pezzo di storia non troppo distante dal nostro presente. Ti fanno addirittura incazzare.

 Ora, la Sanchez non m’ha fatto incazzare.

Per questo non riesco a capire se il suo libro mi è piaciuto o meno.
C’è l’attesa che vince sulla rassegnazione, c’è il disincanto, la confusione, un finale che resta in bilico tra il prevedibile e l’imprevedibile, qualche colpo di scena ma non troppo carico di tensione.
Volendo, chiudi il libro e ti porti a casa pure una lezione: la peggior pena e la miglior giustizia, é quella di riuscire a soggiogare la mente altrui.
Tutti questi, sono punti che giocano a suo favore, ma manca ritmo alla scrittura.
Non ho trovato nella scrittrice quello stile, quella personalità che forse –per come la vedo io- spesso è più importante della trama in sé.
O magari ce l’ha, ma non mi convince per niente.






martedì 8 ottobre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n39 "IL CONTRARIO DI UNO" E. De Luca

Un Uomo Stanco


Titolo: “Il Contrario di Uno”
Autore: Erri De Luca
Edito: Feltrinelli
Numero pagine: 115
Mese: Settembre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: sempre per quel motivo là.

RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Ve lo ricordate a cosa ho deciso di dedicare il mese di Settembre, no?
Ve lo ricordo io: a titoli e/o autori tanto amati e tanto letti.

Ora io con estrema vergogna, devo ammettere che per la prima volta ho iniziato un libro ma la mia tenacia è venuta a mancare.
Solitamente comincio un libro, e che mi piaccia o no lo porto a termine.
Sono testarda, non posso farci nulla.

Vuoi che ho bisogno di altro, vuoi che magari veramente la penna di De Luca non fa per me, ho letto le prime pagine e non sono riuscita ad andare oltre.

Eh sì che a ben vedere io nella solitudine ci sto che è una meraviglia, e questa raccolta di racconti proprio di questo dovrebbe parlare, ma che volete che vi dica, non ce l’ho fatta.

E’ la pesantezza il problema, capite?
Io sono una di quelle che va al Mc Donald 3 volte l’anno e in tutte e tre le occasioni, apre l’hamburgher, sfila dal suo interno quel cetriolino multicolore e lo mette da parte.
Ho il terrore delle cose pesanti, mi seguite?

Ecco per me De Luca, è proprio quel cetriolino.

Magari tornerò ad affrontarlo in un altro periodo, magari in fase pre-ciclo mestruale.
Quella fase in cui i miei ormoni sono più propensi a subire forti sussulti anche con piccoli e impercettibili urti.

Il contrario di Uno?
ZERO.

giovedì 3 ottobre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n38 "CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO" E.L.James







Titolo: “Cinquanta Sfumature di Grigio”
Autore: E.L.James
Edito: Mondadori
Numero pagine: 548
Mese: Settembre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: autoflagellazione.

RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Sempre per quel discorso là che vi dicevo nella recensione scorsa, sempre per puro masochismo, sempre per capire com’è che certi libri passano nella mani e sulla bocca di tutti, sempre perché i libri non è giusto denigrarli senza prima averli letti, eccoci qua, come direbbero quelli “a guardare la nuvole su un tappeto di fragole”.

A parlare di un’autrice che io credo avrà visto almeno tremilacinquecentotrentadue volte “Pretty Woman”, la quale non manca di regalarci immagini che risvegliano nella nostra memoria quel film come ad esempio il passaggio dal sonno alla veglia della protagonista dopo la prima notte passata nella suite del personaggio principale maschile. Una maniaca del dettaglio, che non vuole trascurare di raccontarci nulla, compreso il rituale dello sfilamento del tampax dalla vagina prima di uno dei loro tanti rapporti sessuale.

Amici, sedetevi comodi, è arrivato il momento di parlare di Cinquanta Sfumature di Grigio, primo capitolo della trilogia che ha fatto sbrodolare tutte le frigide di mezzo mondo.

La storia, ruota intorno a due figure: Anastasia Steel e Christian Grey.
S’incontrano per caso, regalo del destino, lei è la classica pora pitoca, genere racchia ma con fascino acerbo pronto a scoppiare da un momento all’altro, super secchiona, costretta a lavorare in una ferramenta per mantenersi gli studi.
Lui, un giovane imprenditore miliardario, capelli biondi, occhi grigi, fisico palestrato, peli pervenuti nel culo = 0.
Prima si odiano e poi si amano, sai la gente è strana.
Poi torneremo a riprendere le fila della storia, prima però andiamo a conoscerli meglio.

ANASTASIA: per gli intimi ANA.
Tutti la vogliono ma a nessuno si concede, questo per via del fatto che non sta cercando un uomo ma “il suo eroe letterario”. Traetene la conclusione che più vi fa comodo, intendo dire se per voi Ana ha più problemi di ormoni o di testa.
Fatto sta che solo alla veneranda età di 21 anni, sente pulsare in lei la voglia di essere baciata da qualcuno. Questo ovviamente dopo essersi ubriacata per la prima volta, e aver vomitato sulle scarpe del fortunato che è riuscito ad accalappiarsi la fresca verginella in questione. Quest’uomo inutile a dirsi è proprio Mr Grey, detto “el griso” per gli amici della bassa. Poi arriveremo a parlare anche di lui.
Si baciano per la prima volta in ascensore (luogo improbabilissimo eh, sa’ mai visto e sentito che la gente prima o poi nella vita finisce a limonare duro negli ascensori) e in quel fatidico momento, Ana, sente “la sua dea interiore agitarsi dentro a ritmo di una samba trionfale”.
E’ bene voi sappiate che ad Ana, la “chioma postcoito” non le si addice molto, che quando gode mugola, che in mezzo alle gambe ha “una potente centrale atomica”, e che discorre spesso e volentieri con una vocina che vive dentro di lei. Ana, come già detto, chiama questa vocina “La mia Dea Interiore”, la Dea Interiore invece, chiama Ana “Puttana” (e qui voglio complimentarmi con la traduttrice italiana del romanzo, perché tra l’altro, fa pure rima. Siamo circondati da geniacci.)
Ana viene investita spesso e volentieri dall’immagine di Icaro che vola troppo vicino al sole, è continuamente  presa dall’impulso di accarezzare i peli del petto di lui, inoltre, è convinta che le canzoni di Britney Spears abbiano un ritmo tecno.
Per concludere, direi che è l’unica donna al mondo che assume la pillola anticoncezionale e ha sempre intorno un voglione da panico.

CHRISTIAN GREY: per gli intimi CHRISTIAN GREY.
E’ un imprenditore, non fatevi tradire dal cognome, non è quello dei fogli acchiappa colore.
Ha a che fare con le telecomunicazioni, e tra i pugni tiene stretto un progetto modesto e totalmente fattibile: eliminare la fame nel mondo.
Ha i capelli “biondo scuro scarmigliati”, gli occhi grigi, adottato. E’ io credo il classico esempio di quel genere di genitori che se ne escono dicendo frasi tipo“non so ancora come chiamarlo, deciderò quando lo vedrò in faccia”. Grey, Grigio, gli occhi grigi, insomma, quella roba lì.
Lui, “non fa l’amore, lui fotte”, e quando fotte, grugnisce.
(Ora, se Ana nel colmo dell’ eccitazione mugola e mr Grey grugnisce, io direi che non la vol andar mal.)
E’ un maniaco del sesso schiavista. Questo dovuto a un trauma, che le tragedie piacciono sempre e non devono mancare in un romanzo rosa che si rispetti.
In buona sostanza, quando aveva 15 anni, per 6 lunghi calendari, è stato il toy boy dell’amica di sua madre. Prenderlo a frustate e poi montarlo era la sua specialità.
Al contrario di Ana, a lui la “chioma post coito” dona parecchio.
E’ “La quintessenza della bellezza mozzafiato. Un vero maschio Alfa, con dentro 50 sfumature di tenebra.”
Quando dice Anastasia, “la sua lingua accarezza quel nome” e in quel mentre ad Ana sembra di “stare su placche tettoniche in movimento.”
Ha uno sguardo torbido (questo me lo ricordo bene perché la James non smette di scriverlo nelle sue pagine) Non so se è un complimento, a me la parola “torbido” fa venire in mente qualcosa di melmoso, ma vedendo il contesto in cui quest’aggettivo viene inserito, credo sia un altro dei tanti punti a suo favore.
Il David di Michelangelo è un peto in confronto a lui.
Una bestia da monta che però quando dorme “lo fa come un bambino piccolo.”


Molto bene, ora che abbiamo messo a fuoco i personaggi, possiamo venire alla trama.
Anastasia deve fare un’intervista a Mr Grey, per il giornale della scuola. Dovrebbe farla la sua amica ma proprio quel giorno ha 42 di febbre e sta come d’autunno sugli alberi le foglie, quindi la sostituisce.
Entra nello studio dell’imprenditore, amore a prima vista.
Lui si rivela essere il re degli stalker, la rintraccia, lei gli vomita sulle scarpe, la porta nel suo albergo e lì (ed è la prima volta per entrambi) “fanno l’amore alla vaniglia”.
Poi lui gli dice che c’ha la fissazione di flagellare le donne e dopo penetrarle col suo sesso, la porta nella sua stanza delle torture,  le mostra un contratto da firmare in cui lei accetta di diventare la sua sottomessa, avendo il buon senso di non darla a nessun altro fuorché a lui. Firmarlo non serve perché lei è porca dentro e nelle manie di lui ci sguazza come una nutria in un fosso. Questo fino al momento in cui lui non decide di colpirla sette volte sulle natiche con un flagellatore.
Questo è il momento della rivelazione del romanzo.
Ana passa mesi a farsi sculacciare, bendare, incatenare, frustare e quant’altro ma capisce che Mr Grey no el ga tute le fasete al cuerto solo quando arriva a riempirla di mazzate.
Qui si chiude la storia.
Ana lo lascia, Mr Grey sta di merda.
Per sapere come andrà avanti la loro relazione, bisogna correre in libreria a prendere il secondo capitolo.
Io preferisco fermarmi qui, davanti a un finale aperto, e all’oggettivo dato di fatto che questa storia d’amore finisce come tutte le storie d’amore dei comuni mortali.
Il finale è che volente o dolente, uno dei due prende la porta, e all’altro brucia il culo da matti.

Gli Harmony sono sul mercato da oltre 50 anni, tuttavia, non sono a conoscenza di nessuna scrittrice che abbiamo avuto tanta fama e fortuna come la James.
A cosa è dovuto quindi questo successo editoriale?
Credo la risposta sia rinchiusa in un saggio proverbio veronese che dice:

“Le done, iè come i copi: pissa una, pissa tute.”

Che tradotto in italiano dovrebbe suonare una cosa tipo:

“Quando una donna deve andare alla toilette, sembra impossibile ma tutte le altre la seguono.
Come quando la pioggia decide di scendere dalle tegole dei tetti.”

domenica 29 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n37 "ACCIAIO", Silvia Avallone




Titolo: “Acciaio”
Autore: Silvia Avallone
Edito: Rizzoli
Numero pagine: 360
Mese: Settembre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: obiettivi masochisti.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Così, giusto per dare un ordine al blog, decido di dedicare il mese di Settembre, a titoli di libri che hanno avuto grande successo sulla bocca di tutti.
Ho deciso di farlo perché credo non sia giusto denigrarli così, per partito preso, senza prima averli letti.
Ora, visto e considerato che la mole è considerevole, visto e considerato che della gente spesso non mi fido, visto e considerato che nutro una sorta di bene nei confronti di me stessa, non escludendo l’ipotesi che può essere magari domani attraverso la strada e un tir cingolato carico di ghisa può investirmi facendomi passare a migliore -o forse peggior- vita, ho deciso di fare una scrematura.

Quindi, dal momento che in un mese ho visto riesco a leggere 2 romanzi e una raccolta di racconti, ne ho scelti tre a caso.
O meglio, mi sono fatta prestare i titoli in questione da persone che ho deciso lascerò anonime per una questione di sensibilità. La mia, sia ben inteso.

Comincio con Acciaio, della Silvia Avallone.
Ricordo d’aver visto una sua intervista alle Invasioni Barbariche, il programma della Bignardi.
E la Daria, ce ne ha fatto su un ricamo di quelli che vi raccomando.
Una scrittrice giovane e promettente, diceva, che farà strada, aggiungeva.
Con tutto che a me la Bignardi sta quasi simpatica come tutte le stronze di questo pianeta.
Con tutto che a me piace come la Bignardi riesce a mettere in difficoltà i suoi ospiti, con tutto che di lei mi fidavo, vorrei togliere ogni dubbio al lettore e dire che no, non me l’ha prestato la Bignardi Daria, questo libro, ma un’altra.

Sono partita dunque con grandi aspettative nei riguardi della Avy, ma già subito dalla prima pagina, dove c’è stampata la dedica, mi si sono piegate le ginocchia.
Io delle dediche ho la mania.
Voglio dire, quelle poche righe che gli autori fanno stampare all’inizio, lì alla prima pagina, per me sono importanti quanto la scelta del titolo, rappresentano lo scrittore, dal mio punto di vista, quello di una che non capisce un niente.
Ora, dovesse essere che una botta di fortuna mi permetta di pubblicare qualcosa di mio, ad esempio, non scriverei mai una frase da pigna in culo tipo:
“A Eleonora, Erica, Alba le mie migliori amiche.”
Non lo farei mai.
E vi dico anche il perché: parole del genere farebbero di me una frigida 30enne, ferma col cervello ai tempi dell’astuccio imbrattato di sigle tipo TVUCDB scritte con l’Uniposca.

Ma la Avy è tenace, dura a morire, non si accontenta di piegarti le ginocchia con la dedica, no, infierisce dandoti un’ulteriore mazzata sul collo col titolo del primo capitolo.

Il titolo del primo capitolo è AMICHE DEL CUORE.
Dovreste vedere come ho tappezzato il resto dello spazio lasciato intorno al titolo.
Tornate a immaginarvi l’astuccio di cui vi parlavo sopra.

Quindi, vuoi un po’ perché siamo partiti male, vuoi un po’ perché ho cominciato a imbattermi nella lettura, la prima domanda che mi sono fatta è stata: ma la Avy (e il suo correttore di bozze) le elementari le hanno finite o come mia nonna si sono fermati alla terza?

Ora io, per fare in fretta, potrei prestarvi il libro, quello che è caduto sotto la mia matita. Voi potreste sfogliare le pagine, e cercarvi tutti i punti interrogativi che ho segnato lungo il tragitto.
Sono tantissimi.
Ma dal momento che mi rendo conto fisicamente sarebbe un ardua impresa, vi riporto alcuni passaggi, e sottolineo la parola alcuni, perché voi io ve lo giuro, non potete immaginare quanti siano.
Per fare ancora più presto, ve ne riporto il meno possibile, che si sa, le disgrazie non piacciono a nessuno.

· Quello era il paradiso. L’unico veramente vero. (veramente vero forever.)
· L’amore dentro la cabina buia. Senza ragionarci, senza preservativo, e chi restava incinta e lui se la teneva, aveva vinto. (tengo precisare che ho riportato il periodo papale – papale se qualcuno me lo spiega mi fa un piacere)
· Sono indifferenziate, sono nude (ma che è? Immondizia?)
· Perché non siamo uguali? Siamo diverse, però siamo uguali. (bah.)
· Aveva uno sguardo sperso. (An o capio.)

Oh no dai, davvero, basta. Se volete il libro ve lo presto, davvero, veramente vero, ve lo presto e vediamo se la vediamo uguale però indifferenziatamente , perché so che non siamo uguali, che siamo diversi però uguali. Non guardatemi con lo sguardo sperso, vi prego- preghissimo.

Un mio amico direbbe Che miserie. Lo cito, così, per uscire dal tunnel.
Ora, appurato il fatto che su certe cose proprio non ghe semo, veniamo alla trama.

Non manca niente: zoccole e tamarri, disgrazie, soprusi e tragedie famigliari.
 Motorini truccati, macchine modificate con alettoni stile Batman, stereo a palla e gomiti fuori dai finestrini sulle note della musica house.
 La disabile ottimista in pace col mondo, la sfigata, le racchie, le mega fighe.
 I bulli a petto nudo coi ray-ban sugli occhi e  le catene d’acciaio al collo, i jeans mezzi sbottonati con l’orlo degli slip bene in vista, fighetti che lanciano sguardi feroci e gratuiti ai passanti della serie “tu non sai chi sono” e a cui le morose durano come i gatti sull’Aurelia.
Adolescenti vissuti che dicono frasi tipo “la vita mi devasta, non rompermi i coglioni levati di culo, questa è una storia davvero pesa, fly down capo”
Ragazze che sfilano tra i tavolini del bar succhiando il Calippo come porno star affermate.
C’è l’amore lesbo, e ragazzine che scrivono sui propri diari -con l’indelebile nero e la scolorina- frasi colme di punti di sospensione, scambiando i puntini sulle i con dei cuori.
Fidanzati che infilano le mani l’uno nella tasca dei jeans dell’altra e passeggiano “facendo le vasche in centro”, uscendo con frasi tipo “oh bimbi, c’ho uno sbrano!” dopo aver fumato una canna.
Che assecondano la loro fame chimica, andando a mangiare il gelato al TOPONE, chiamandolo proprio come un grosso ratto e non TOP-ONE in inglese, come l’insegna del negozio suggerisce.
Ragazze che aspirano a diventare veline di Striscia la notizia, che scatenano risse, tirandosi i capelli e dicendosi “bimba stai calmina, chi ti caca” o sfoggiano un lessico fatto di innumerevoli “cioè, praticamente”.

Qui mi fermo, sempre per quel fatto là che dicevo, che le disgrazie non piacciono a nessuno.

Mi rendo conto che questo elenco fa apparire l’intero romanzo fortemente ironico, ma ormai mi conoscete, e sapete che vuole essere esattamente il contrario.
C’è pure una storia dietro tutto questo, e la possiamo descrivere in poche righe.
Due ragazze sono amiche per la pelle, il loro sogno è andare sull’isola d’Elba, per tutto il tempo questo viaggio ci pare tutto tranne che possibile.
Poi le ragazze litigano e non sono più migliori amiche.
Dopo fanno la pace, la mamma di una le da 5 mila lire e dice “tenete ragazze, questi vi basteranno.” Le ragazze vanno al porto, prendono prima due biglietti, poi il resto, poi il traghetto, e tempo due minuti raggiungono l’isola.

Ciliegina sulla torta, il finale.
Nome e cognome della scrittrice, luogo e data della fine della stesura del romanzo.


mercoledì 18 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n36: "Storie di Ordinaria Follia", C.Bukowski


Titolo: “Storie di Ordinaria Follia –erezioni eiaculazioni esibizioni”
Autore: Charles Bukowski
Edito: Universale Economica Feltrinelli
Numero pagine: 340
Mese: Agosto
Motivo che mi ha spinto alla lettura: una litigata col moroso.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Una litigata col moroso, è corretto.
Non scenderò nei dettagli, questa è una storia che resterà tra me e i più intimi dei miei amici.
Fatto sta, che mio moroso, insomma, diciamo che mi ha fatto questo regalo, insieme a molti altri, quel giorno.

E poi siamo qui a parlare di libri, no?  Eccoci qua, pronti.

I lettori più attenti e fedeli del mio blog, ricorderanno la passata recensione, fatta a Compagno di Sbronze. (Recensione senza Candeggio n 7 ).
Pure in quell’occasione vi ho parlato di questo libro, ricordate? La bibliotecaria col tic dei capelli?
Ecco, a distanza di anni l’ho riletto, con l’occhio un po’ meno furbetto, è chiaro, di quando ero una ragazzetta. L’occhio di chi è abituato a stare in mezzo alle zozzerie, che si scandalizza con un po’ meno facilità.
Ammetto che ai tempi, Storie di Ordinaria Follia, mi aveva più scossa, forse perché i misteri del sesso non li conoscevo ancora, forse perché gli anni 90 sono stati gli anni del Postalmarket, dove due minne strette in un reggiseno di pizzo bianco e una mutanda ascellare, erano il massimo del facile e reperibile erotismo che l’editoria proponeva, forse perché venivo da una cultura pudica, scandita dalla voce del Piccolo Principe e compagnia briscola.
Questo ricordavo dai tempi in cui avevo lasciato in sospeso Storie di Ordinaria Follia.
L’impatto.

Ma ora da grande, dopo una seconda lettura, ho preso coscienza del fatto che Buk, va ben oltre.
Che i veri racconti, raccolti in questo libro e capaci di farti bagnare le mutande, sono ben altri.
Io sul podio ad esempio ci metto

· Una Calibro 9 per Pagare l’affitto
· Appunti sulla Peste
· Un Brutto Viaggio

Ora, da grande, ora, che la passione per la scrittura sono sicura cosa significa, ora, non vedo Storie di Ordinaria Follia come un elettrizzante saggio sull’erotismo.

Ora, immagino Bukowski, che gli amici –sì insomma, la gente che conosce- non lo invitano da nessuna parte perché Charles, a uscire con Charles, facile che si vanno a fare delle gran figure di merda, ciò nonostante, gli amici –sì insomma, la gente che lo conosce- gli gran lecca il culo.

E io me lo immagino, lì che se la ride mentre ciuccia un bicchiere di vino o si scola una latta di birra, in  mutande, davanti alla sua macchina da scrivere, me lo immagino che ogni tanto prende, si sposta dalla scrivania, e va a vomitare nel cestino della carta. Liquido per lo più. E allora, noi che tutti conosciamo lo sforzo del vomito liquido, lo possiamo vedere lì, Charles mica il liquido, che torna alla sua scrivania, coi suoi occhi lucidi, battere un’ultima frase che resterà incompleta e dimenticata agli occhi del nuovo giorno, tanto è più forte l’impulso di lanciarsi a collassare sul materasso.

Me lo immagino con Hemingway, a parlare delle loro fobie, con le tende tirate per la paura di essere spiati dalla CIA, parlare sotto voce, per non essere intercettati dall’FBI.
Per poi finire a discutere animatamente, prendersi a pugni e poi fare pace con un bicchiere, alla loro salute e a tutti gli stronzi che consumano ossigeno in tutto l’universo mondo.
E farsi prendere dall’enfasi, per non perdere un secondo di quanto è appena successo, immortalare il tutto.
Hem battendo ogni parola in piedi, Buk stracciando e riscrivendo fogli su fogli.
E passato l’entusiasmo, tornare ai loro bicchieri, discorrendo di ippodromi e arene.

Me lo immagino circondato da gente che reputa utile e inutile al contempo, che trova utile per scrivere ma inutile da vivere.
Me lo immagino, raccattare mozziconi di cicche dal posacenere, da sotto il letto, da sopra il lavandino, scovarle, accenderle, infilarle tra i denti di una forchetta per non bruciarsi le dita, e me lo immagino, nei periodi  in cui le vacche sono grasse, col suo sigaro, mentre il fumo si confonde con il riverbero della lampada da tavolo, e la brace che scende a bucargli i calzoni. A prendersela con Dio per questo e molto altro, prendersela con lui a piacimento, lodandolo quando la sorte gli sorride e insultarlo quando il destino gli è avverso.
A lavorare di notte, a dormire di giorno, facendo dello scrivere il suo unico lavoro,

E ci appare scorretto, grottesco, e ci fa restare col fiato corto, con la sua bocca sporca di parole e il cervello intasato d’immagini ludre. Con la sua mano pesante che ci lascia, alla fine di ogni racconto davanti al compiuto e incontestabile dato di fatto che la sua penna è frutto di grande finezza, intelligenza e sagacia.

Lo leggi e tu sei lì, tra gli straccioni ubriachi che ostentano coraggio, che narrano e non narrano avventure,  mascherati dietro al loro  sudore acido, ai denti gialli, e al filo di saliva consistente che resta teso come una corda messa giusto lì, per unire il labbro superiore a quello inferiore.
Sei lì, tra le donne con le tette e i culi grossi e la patonza pelosa, che parlano d’amore.
Sei lì, in mezzo alla nebbia dello smog della California, una cappa pesante che resta però sempre fuori dalla finestra di una sudicia stanza in affitto a ore, che prima di te, e che a sua volta, ha conosciuto come unici visitatori cimici, zecche e scarafaggi.

Lo sporco che alza lo sporco, questo è.
E non è una questione di pessimismo, di disfattismo, di cinismo, ma di oggettività.
Quando parliamo di Bukowski, non parliamo solo di sesso, di alcol, di solitudine, della società che ci circonda.
Parliamo di un occhio attento che usa come mezzo la semplicità e la bassezza, per arrivare a toccare i pezzi di un domino fatto di falsità e incertezze, capace di crollare solo davanti all’altezza del suo avido pulsare sui tasti di un’arrugginita macchina da scrivere.




lunedì 16 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n35. "LA SCHIUMA DEI GIORNI", B.Vian.



Titolo: “La Schiuma dei giorni”
Autore: Boris Vian
Edito: Marcos y Marcos
Numero pagine: 268
Mese: Agosto
Motivo che mi ha spinto alla lettura: prestato dalla mia amica Franceschì.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Da quanto tempo era che non leggevo un libro così?
Da mai, questa è la risposta.
Me l’ha prestato la mia amica Franceschì. E’ stato uno dei miei buoni propositi per il 2013, quello di circondarmi solo da persone che mi fanno stare bene. La mia amica Franceschì è una di quelle.
Se solo Boris Vian fosse ancora vivo, se solo ci conoscessimo, farebbe parte pure di lui, di questa cerchia ristretta.

Ma Vian è morto giovane e d’infarto, durante l’anteprima cinematografica del suo omonimo romanzo “Sputerò sulle vostre tombe”. (Sentitevi pure liberi d’ironizzare sul fatto)
Conosciuto per lo più in Francia e poco meno in Uk, ma non più in giro, parliamo di un genio  vissuto in sordina per troppi anni nel mondo, che ora ci lascia in eredità uno stile di scrittura unico nel suo genere, di grande carattere, capace di far sognare anche i cinici come me.
Uno scrittore, che sapeva la sua vita sarebbe stata breve, e lo sapeva non perché era uno di quei parazebedei che dice “la vita è breve, è bene scolarsela in fretta giù per il gargarozzo” no, sapeva che la sua vita sarebbe stata breve perché sapeva di essere malato. Al cuore per giunta. Fa un ché pensare che una persona con così tanta sensibilità, sia malato proprio in quell’organo lì, non trovate?
Ciò nonostante, ha vissuto fregandosene un po’ di tutto e un po’ di niente, continuando a fare ciò che più lo faceva star bene: scrivere libri, racconti, testi musicali jaaaaaaszzz, senza mai ambire all’autodistruzione, al vittimismo e tutte quelle brutte robe lì, continuando a suonare la sua tromba fino alle 4 di mattina. Andate dal vostro medico e chiedete se ai cardiopatici fa bene suonare la tromba per ore e ore.

Questo è il primo romanzo del Boris che leggo, ma letto questo, mi è presa la smania di volerli leggere tutti. Lo farò, e so che non lo mettete in dubbio.

Siamo di fronte a un romanzo colmo d’invenzioni, d’immagini brillanti e strabilianti, di metafore e neologismi, di visioni. Un surrealismo che supera e cancella la componente tragica che ombreggia sulla storia, inutile voler dire per forza il contrario.

Ne La Schiuma dei Giorni, tutto è poetico nonostante sia in prosa, tutto è assurdo, paradossale, fantasioso, tutto ciò che è presente in queste pagine è immenso, e lo senti, sei un gigante e ti stai rimpicciolendo via- via che t’avvicini lento al tragico epilogo. Prendete ciò che ho scritto alla lettera, immaginate di stare lì comodi a guardare un film a colori su un maxy schermo, e questo film più si avvicina al finale, più ve lo trovate a guardare in un vecchia tv in bianco e nero, seduti su una cassa da frutta con le schegge che vi pizzicano le natiche.

Tutto è scritto nel minimo dettaglio, tuttavia la sistemazione fisica e temporale della storia resta confusa, questo grazie a un’abile mescolanza di usi e costumi storici con elementi oserei dire visionari. Personaggi educati, che non mancano però di lanciare grandi stoccate al perbenismo, al conformismo, criticando intelligentemente a colpi di sciabola le industrie farmaceutiche, la sanità, il mondo del lavoro e la frenesia che ne consegue, che non porta a nulla, esattamente come il contrario.
Ci si fa beffa di quanto il materialismo ci regali tutto e come si sa’, niente.

La trama ho deciso non ve la racconto, tanto questa settimana esce il film.
Oh, se comincia tutto a colori e finisce in bianco e nero io da domani ho deciso che sono figa.
E poi volevo dire che sono felice d’aver letto il libro prima di aver visto il film.
Caro Gondry ci hai una bella sfida d’affrontare, a figurarmi una roba tipo così:

“Un fazzoletto di seta gialla lo pilotò nella direzione del vento e il colore del fazzoletto, strappato dal vento, andò a posarsi su un grande edificio di forma irregolare che (…)”

Ma di più a come fare una ninfea che ciucia i polmoni, e un topo suicida.





martedì 10 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n34 "Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane)" di Jerome K. Jerome

Geronimo, l'uomo che non fa ridere.



Titolo: “Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane)”
Autore: Jerome K. Jerome
Edito: Crescere Edizioni
Numero pagine: 221
Mese: Agosto
Motivo che mi ha spinto alla lettura: Tanti mi hanno detto Leggilo che fa un ridere che non se sà.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Già lo so che i più attenti mi stanno prendendo in giro per l’edizione del libro che ho scelto.
E’ che vi spiego, ero in montagna durante un fine settimana per il mio ritiro senile.
Ci ho bisogno, del mio ritiro in mezzo al nulla, almeno 3 fine settimana al mese me li devo concedere a stare lì, in mezzo al niente, nella contrada isolata dal mondo, dove ci ha la seconda casa mio moroso.

Succede in un fine settimana d’Agosto che mi accorgo d’essermi dimenticata a casa (la casa quella dove abito quando non faccio la senile, quella dove regna il caos e la frenesia) un libro per farmi compagnia.
Già lo so che qualcuno è pronto a dire Beh ma quando vai in ritirata col moroso, invece di leggere puoi mica fare all’ammmmore?
Eh, bravi solo voi.
Che siete? Macchine industriali?
Fare all’ammmore si fa, ma dopo il tempo c’è da farlo passare.
E po’ andasì in cul, io a voi mica vi faccio i conti, che spiegazioni ho da darvi?
Ma guarda questi…

Dicevo, mi accorgo d’essermi dimenticata il libro a casa.
Mio moroso mi dice Va’ che se andiamo in paese hanno fatto la libreria mobile, è lì ferma per tutta l’estate, facciamo un giro e ti prendi un libro, che dici?
Ma come si fa a non fare all’ammmore con uno così?
Allora, dopo aver fatto all’ammmore siamo andati a prendermi un libro.
Ci avevano solo le edizioni “Crescere Edizioni” (copertine fighissime eh, niente da dire).
E lì per lì ho storto un po’ il naso ma poi il prezzo mi ha fatta convinta (euro 3.90).
Pure il fatto che vendevano “Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane)” mi ha fatta convinta, che tanti mi hanno detto Leggilo che fa un ridere che non se sà.
Ah, giusto per farvi contenti, tornati a casa, nella casa senile isolata dal mondo, ve lo dico, abbiam fatto all’ammmore.
Ora, che avete la certezza che almeno due volte in un giorno l’abbiamo fatto, possiamo andare oltre?

Tre Uomini In Barca (per non parlare del cane) è la storia di 4 inetti ipocondriaci che decidono di fare un viaggio.
Lo fanno in barca, altrimenti qualcuno mi spieghi perché l’han intitolato “Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane)”.
Direte voi, se sono tre uomini in barca, perché te hai detto che sono 4?
Perché c’è anche il cane, ve l’ho già scritto.
Ohhhhhh cacchio la finite di pensare all’ammmmmore e vi concentrate sul libro per piacere?

Devo dire, che così, subito non mi ha tanto convinta. Forse perché scritto in passato remoto.
Io non so voi, ma il passato remoto lo concedo a pochi. Per me ad esempio, sta bene sugli svitati, tipo quelli che parlano da soli.
Insomma, il primo capitolo a dirla tutta anche non c’è male, è simpatico dai, ma più andavo a scorrere le pagine, più mi dicevo Ecco dai, vedrai che tra un po’ ti spanzi dalle risate come dicono tutti. E mai succedeva.
E’ brutto vivere di aspettative.

Arrivo a pagina 39 e mi dico Ecco vedrai che ho bello che capito il finale, il libro finisce che i protagonisti nemmeno partono.
Sono tutte quelle divagazioni che fa il protagonista, lì finché ci racconta la storia in prima persona, che m’inducono a pensare questo, capite?
Po’ invece tasi, che partono.
Partono ma poco ti raccontano di quel che succede, che sono troppo impegnati a discorrere sulle proprie esperienze passate, e ci tengono, che il lettore ne venga al corrente.
Divagazioni – divagazioni - divagazioni.

Vi faccio un esempio inventato di sana pianta, per darvi l’idea.
“Percorrevamo il fiume, io, Tony, Vattelappesca, e il nostro canarino. Sulla nostra destra un castello ci rincorreva coi suoi fantasmi a cavallo, poteva essere la realtà o il succo d’ananas scaduto che si ribellava nei nostri intestini. Questo mi ricorda la volta in cui, io e mio cugino, andammo a raccogliere gli ananassi in Africa….”

Eccetera eccetera, insomma, quella storia dei fantasmi a cavallo non la conosceremo mai.

Fino a che non capisci che il gioco di Jerome è proprio questo.


Vado avanti e aspetto mi si presenti davanti il punto in cui, da lì a poco, comincio a ridere come una disperata.
Arrivo addirittura a pensare Beh magari, visto che questo libro ha fatto fare signore risate a tanti, magari, ho pensato, Magari forse è vera quella cosa là che i libri vanno a periodi, che magari “non era il momento” che magari se lo leggerò un’altra volta, più avanti, magari lo farò con le mani sulla milza e le lacrime agli occhi.
Poi insomma, me ne sono fatta una ragione, voglio dire, ‘gnuno ci ha il suo senso dell’umorismo, alla fine di tutti i discorsi, quindi sono andata avanti a leggere, senza ridere.

I protagonisti sono (secondo me) dei giovani già vecchi. L’autore non ci dice che età hanno ma uno fa le sue deduzioni abbastanza in fretta, appena viene a conoscenza dei loro ritmi e dei loro comportamenti.
I giovani già vecchi mi piacciono un sacco, va detto.
Sono i vecchi che vogliono fare i giovani, che mi fanno paura, ma questo è un altro discorso.

Pensavo, finché lo leggevo, il libro, che io uno dei mestieri che mi piacerebbe fare da sempre è l’editrice.
Ora, io non so se il termine è giusto, insomma, intendo quella che riceve i manoscritti della gente e poi decide se metterli sul mercato o no.
Meglio che continuo a pettinare pollami invece, che come è vero che Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane) si è rivelato essere un grande successo, è altrettanto vero che a seguire il mio istinto avrei fatto la fame. L’avrei bocciato, voglio dire.

Sembrano tanti racconti lasciati nel cassetto, presi e uniti con l’intenzione forzata di riuscire in una storia completa.

Il capitolo quello dove si parla che la mostarda è carissima però mi ha fatto ridere, ci ho da essere sincera. Se volete ridere anche voi, andate direttamente a quel capitolo lì. Se prendete la mia stessa edizione, è il 12.

Ironia e pessimismo vanno a braccetto in un’insolita combinata, che trovo entusiasmante e intrigante ma che qui, non è ben sviluppata.

Morale del libro: le buone intenzioni, la forza di volontà, gli obiettivi, non vinceranno mai contro la pigrizia, ciò che rende realmente buffo il presente è il nostro passato.

Morale della recensione: “te si la solita bastian contrario, te ghè sempre da saver ‘na pagina in più del libro, tromba che l’è meio.”