Motivo che mi ha spinto alla lettura: Norite, norite acuta
RECENSIONE e OPINIONI dI DUBBIA UTILITà.
Questo è un libro che ho letto ancora nel 2014, il blog è dal 2014 che non lo aggiorno, vergognarsi, bisogna; leggere ho continuato a leggere, per cui vediamo di recuperare il tempo perduto, altrimenti finisce sembro essere come una di quei giovani che non han mai voglia di fare e credere in un niente.
Quindi dicevamo al 2014, siamo rimasti.
Nel 2014 io ho avuto un periodo di Norite acuta, non mi bastava più, leggere i libri che scriveva Nori Paolo che già sono tantissimi, no, in quel periodo di Norite, ho cominciato pure a leggere le sue traduzioni: “Padri e Figli” è stata una di queste.
In “Padri e Figli” ci sono le rane, ma ancor di più si parla per la prima volta nella storia di nichilisti, se ne parla ancora prima nel cinema, ancora prima dei fratelli Coen, che è stata una cosa, a essere sincera, mi ha buttato addosso un po’ in confusione, sulle prime, che io, appena ho letto la parola “nichilista” subito sono andata a pensare al Grande Lebowski, e non riuscivo più a concentrarmi, sulle rane; dopo invece ce l’ho fatta, ho spostato i Creedence e il bowling dalla mia testa, e sono tornata a concentrarmi sulle rane, che di rane si parla, e di nichilisti, già l’ho detto.
Tra queste pagine, troverete uno scontro generazionale che non ha età uno scontro vivo già dalla seconda metà del 1800, ma attualissimo, quale scontro? direte voi.
Questo: uomini destinati al riposo che accusano i giovani, giovani che d’un tratto da semplici coglioni, si trasformano in nichilisti.
Poi si parla anche di rane, l’ho già scritto che in questo libro, si parla di rane?
Titolo: Cattedrale
Autore: Raymond Carver
Edito: Minimum Fax
Numero Pagine: 229
Mese: Settembre 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: voler vedere come vede un cieco.
RECENSIONE e OPINIONI dI DUBBIA UTILITà.
Carver è uno di quei scrittori che se hai voglia di leggere, sa come tenerti compagnia e se hai voglia d’imparare a scrivere è capace di darti grandi insegnamenti, sempre a patto che tu non lo voglia sfidare perché é irraggiungibile; un po’ come se decidi la sera dopo lavoro di andare a correre, e competere con Bolt.
Questo, è quello che penso su Carver, in generale dico, non parlando di un suo libro in particolare.
Parlando invece di “Cattedrale” allora posso spingermi ben oltre.
Se scrivere ti piace scrivere, competere con un capolavoro simile, sarebbe come lanciare una sfida al Caravaggio con in mano solo una scatola da sei di pennarelli marca Carioca (di cui tre completamente scarichi).
Ma noi siamo per lo più lettori, giusto? Quindi le sfide lasciamole alla signor De Filippi Maria e al suo branco di ragazzini per la metà esaltati e per l’altra metà viziati.
Cosa spacca di più i calcagni in “Cattedrale”?
Beh, posso dire cosa ribalta più le viscere a me (in senso buono, è chiaro).
I dettagli.
E’ incredibile come un singolo dettaglio accennato di tanto in tanto un po’ qua e un po’ là per il racconto, continui ad essere la tua ossessione fino all’ultima pagina che mette (quasi) la parola “fine” al tutto.
Dico quasi tra parentesi e fine tra virgolette perché Carver la parola fine non la mette mai, ognuno deve farsene quello che vuole, del finale, come è bello che sia altrimenti non sarebbe el caro vecio Carver e noi non saremo trattati da persone intelligenti. E’ un bell’atto di coraggio, quello che fa lo scrittore. Dico quello di trattarci da intelligenti senza nemmeno conoscerci.
Sono racconti carichi come posso dire? Di energia emotiva, un energia al contempo calma, e profonda, e passionale, e intensa. Come posso usare un’immagine senza ricorrere a troppe parole? Ecco, forse ce l’ho: i suoi racconti sono come un soffio d’aria calda sulla carta.
Titolo: “La Più
Grande Balena Morta della Lombardia”
Autore: Aldo Nove
Edito: Einaudi
Numero pagine: 182
Mese: Settembre 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: se ci avete pazienza, lo spiego sotto.
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà
Se uno mi chiede com’è che mi piace Nove, io c’ho le mie motivazioni.
I suoi, sono racconti che puoi leggere mentre aspetti il bus, o nell’attesa che
si raffreddi il caffè, o quando ti arriva un messaggio sul cellulare con
scritto “due minuti e arrivo”, o ancora finché aspetti che la lavatrice ultimi
il risciacquo per poi stendere i panni, o mentre soffrigge la cipolla per il
sugo, o negli ultimi istanti che dividono casa tua dal lavoro, o nell’attimo
che separa la veglia al sonno.
Cose così.
Ma mi piace Nove anche perché in un solo piccolo e striminzito libro, è capace
di tirare fuori un sacco di cose che altri scrittori, io secondo me altri
scrittori manco gli passano minimamente per la testa.
Come i Ricchi e Poveri che si trasformano in mostri, un nonno classe 900 che il
gabinetto non ce l’ha ma ha un orto dove l’odore della cacca e del rosmarino si
confondono con quello del mirto, o Maria che guarda le telenovele coi brividi,
e una nonna che fa il caffè latte finto con la miscela Leone.
Un bambino che vede per la prima volta un giornalino pornografico e gli prende
il batticuore come quando andava in bicicletta al Roncolino in salita, e della
gente di Viggiù che nessuno va a trovarla mai ne da viva ne da morta.
O un altro bambino, che riceve una notizia mentre la maestra gli dice di chiudere
bene i tappi dei Carioca, o un gatto così brutto che se era una trasmissione lo
toglievano, o una festa che i grandi non vogliono mai dare perché bisogna
lavorare.
Oppure un ragazzo convinto che un giorno la musica distruggerà le fabbriche, e
un posto che si chiama Cottolengo dove si vedono delle cose che non si vedono
in Giappone in Africa o in India, o una strada che contiene un maniaco.
Ma anche un calciatore, che è entrato in una gioielleria e per scherzo ha detto
“sono un ladro!” ma il gioielliere gli ha sparato per davvero, o un altro
bambino orfano di padre che gli chiedono a scuola di fare un tema sul lavoro
del suo babbo.
I negozi dei vecchi, e i robot giocattolo che escono dalle proprie scatole si
tolgono il prezzo e vanno a marciare verso il comune di Viggiù.
O anche un barattolo di Nutella truccato con una cosa verde, le figurine
incollate con la coccoina, dei dischi rovinati che han dei poteri ipnotici.
Ne La più grande balena morta della
Lombardia, ti spiegano che il giornale “Cronaca Vera” c’è da prenderlo sul
serio.
Ci sono gli 8 senza verde, il momento storico in cui la tv è diventata a colori,
le tante cose che ci sono alla fine di Diabolik, una casa di terracotta per i
nani più bella di una casa per le persone di carne.
C’è la consapevolezza di un bambino d’essere diventato anziano e alla fine pure
una riflessione sulla guerra che è questa: “alla fine delle guerre nei veri
documentari della tele si vede che è tutto distrutto, allora potevano fare a
meno di costruire le case, di fare le città che poi con le guerre sono tutte da
rifare, e anche le persone bisogna darne nascere di nuove.”
Ora, quanto ci avete messo a leggere tutto quello che ho scritto, ammesso
abbiate letto tutto ma veramente tutto quello che ho scritto?
Un po’ eh?
Leggere come scrive Aldo Nove ci metterete sicuramente meno, garantito.
Concludo dicendo che ho scoperto esistono delle matite che le vorrei parecchio.
Si chiamano matite marca “SPROUT” ma siccome costano tanto e non posso
comprarmele, chi vuole regalarmele è libero di farlo grazie gli vorrò molto
bene.
Titolo: “Una
Banda d’Idioti”
Autore: John Kennedy Toole
Edito: Marcos y Marcos
Numero pagine: 459
Mese: Luglio -Agosto 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: la comune presunzione nei confronti della
gente.
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà
Una mia buona amica, sostiene che un valido motivo per comprare i libri, è
fidarsi dei titoli. A me “Una Banda
d’Idioti” è andato subito all’occhio per questo.
Ignatius, è il protagonista di questo romanzo, ma non solo, è un tipo diciamo
“particolare”.
Ad esempio, tira di quei rutti che dal rumore che fanno, sembrano distruggerli
l’intero apparato digestivo; porta al polso un orologio di Topolino con le mani
inguantate che fungono da lancette, indossa (parlo ancora di Ignatius) una
sciarpa che volendo può portare a uso scialle,o trasformarla in cintura, fusciacca, mantello, kilt,
sostegno per un braccio rotto, fazzoletto.
Ha due grossi baffi spesso “ipastrocè” di cibo e sulla testa, un berretto da
caccia completo di paraorecchie; e una madre, che dal momento in cui comincia
ad avercela con lui, decide di non comprargli più il Dr Nut.
Ignatius è impertinente, insolente, antipatico, scostante, ipocondriaco, paranoico,
un ballista di prima categoria con sempre una scusa pronta ed un insulto in
canna, è catastrofico (scendere dal letto potrebbe rivelarsi un gran pericolo
per il suo osso del collo, il tarso e il metatarso) si fa odiare da tutti
tranne che dal lettore, o almeno, così fino a buona parte del libro.
Per un breve, brevissimo periodo diventa un rivoluzionario mettendosi alla
guida di una “protesta operaia” e quando metto le parole tra le virgolette,
intendo dirvi di prendere quest’espressione con le pinze; e quando dico breve,
intendo breve sul serio, che Ignatius pare uno non molto portato per i progetti
a lungo termine.
Poi sceglie di vendere hot dog, così giusto per non finire in galera, e lo fa a
modo suo portando ad esempio il baracchino in mezzo a delle signore per bene
riunite a una mostra. E sul baracchino incolla un foglio di quaderno con su
scritto “TRENTA CENTIMETRI (30) DI PARADISO”.
Ignatius se ne va in giro in cerca della svolta della propria vita e
inconsapevolmente si ritrova coinvolto in un giallo.
Si trova coinvolto ma non se ne accorge, né mai se ne renderà conto perché troppo
impegnato a intrattenere una fitta e megalomane corrispondenza con la ex morosa
fatta di scambi d’insulti, esagerazioni e progetti terroristici a cavallo tra l’utopia
e la fantasia.
Da un certo in poi della storia, Ignatius diventa come una sorta di macchietta
del Don Chisciotte, e se si pensa che già di per sé Don Chisciotte lo è, si
capisce dove comincia il limite dell’esagerazione.
Quindi poi basta, Ignatius ha cominciato a diventare antipatico pure a me che
l’ho sempre difeso dalla ciurma di personaggi pittoreschi che animano il libro.
E’ diventato un po’ come quei comici da tv, di quelli che all’inizio ti fan
sbellicare dalle risate ma poi a furia di vederli, finisci col non sopportare,
di quelli che a furia di sentirli arrivano al punto di urtarti i nervi.
Questo fastidio credo d’averlo provato a circa 2/3 del libro.
Il che mi fa pensare al fatto, che se fosse finito prima, sarebbe rientrato
nella lista dei miei libri preferiti. Una Banda d’Idioti non guadagna
nessuna posizione forse proprio a causa della pesantezza che arriva a
raggiungere quando avrebbe potuto evitare di farlo, il che è un gran peccato
perché una New Orleans con questi colori a me è piaciuta parecchio.
Il finale, oggettivamente, è degno di nota, un finale di quelli che non ti aspetti,
una pazzesca fuga d’amore, un insolito happy end di quelli che in mezzo a tante
(forse troppe) serie di sfortune e desgrassie male non stona, anzi, forse
aiuta.
Aggiungo una curiosità che a me ha fatto tenerezza, circa la pubblicazione di
questo romanzo.
J.K.Toole si è asfissiato col tubo del gas, dentro alla propria automobile.
Ovviamente, non è questa la curiosità che mi ha fatto tenerezza ma un’altra.
Dopo la sua morte, la madre ritrova tra le scartoffie del figlio questo manoscritto
e comincia a tempestare di telefonate un editore.
E quando l’editore ha chiesto alla signora perché mai avrebbe dovuto leggerlo,
lei le ha risposto “Perché è un grande romanzo”. Un romanzo in cui la figura materna viene disprezzata all’ennesima
potenza, ma che guadagna il successo grazie alla fiducia di una madre che sfida
il dolore perché quello stesso romanzo possa capitare sotto gli occhi di tutti.
Sembra paradossale, ma è andata esattamente così.
Titolo: “L’Uomo
cha Amava le Donne”
Autore: Francois Truffaut
Edito: Tascabili Marsilio
Numero pagine: 94
Mese: Giugno 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: il mio insegnante di scrittura creativa.
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Ora.
Senza cadere in facili buonismi e in irritanti ruffianaggini ma limitandosi
semplicemente ad un fatto di oggettiva riconoscenza, devo ammettere che
personalmente devo molto al mio insegnante di scrittura creativa.
Il nostro è stato un idilliaco rapporto fatto di odio e amore, dove io non
apprezzavo molto il suo pompante ego e narcisismo, ma al contempo, rimanevo
ammaliata ogni volta che apriva bocca su un tema letterario, o davanti alle
dritte dirette ed efficaci che era capace d’inculcare nella mia testa in maniera
semplice ed immediata, non cadendo mai nel banale.
Sui motivi invece per cui lui amasse e al contempo odiasse la mia persona non
intendo far cenno, sostanzialmente per il fatto che non ha nessuna rilevanza.
Il mio insegnante, ci andava pazzo, per Truffaut.
Io prima di Giugno, prima de L’Uomo che
Amava le Donne, non avevo mai letto nulla di Truffaut.
Questo per un errore di pregiudizio, non certo nei confronti del mio insegnante
ma in quello degli artisti francesi.
Truffaut ce l’aveva sempre sulla bocca, il mio insegnante, e ho conosciuto più
l’artifizio della sua penna che della sua cinepresa.
Non mancavano termini di paragone ed esercizi di scrittura dettati dalla
combinazione della mano del francese e dalla mente del mio insegnante.
E quando in aula venivano letti estratti di questo scrittore pensavo et voilà
ecchici a la sagra dell’orgoglio pavone.
Non lo nascondo, pensavo esattamente a questo.
Un narciso che leggeva cose di un vanesio, pensavo Vaccassalaputtanassa potrò
mai sopravvivere a tutte questo? Dove sono la mia birra e il mio panino con la
mortadella?
Poi sopravvivevo e mi sembrava pure di migliorare, visto che stiamo facendo i
sinceri. O per lo meno, mi si aprivano nuovi orizzonti.
Però il mio primo libro di Truffaut l’ho comprato a distanza di due o tre anni
dal corso di scrittura eh?!
Che magari sì, gli estratti la mente me l’avevano aperta, ma mi pareva sempre
che ci avevo da leggere altro, prima di Truffaut. Ognuno ha le proprie
esigenze, inutile star qui tanto a sindacar, giusto?
Va beh.
Sono andata in libreria che avevo lo sconto nella tessera da usare.
(5euro di sconto)
Io quando entro nelle librerie è meglio che non ci entro perché finisce sempre
faccio malanni, ormai mi sa che a casa ho più libri da leggere di libri che ho già
letto.
C’ho pure dei doppi, tanto per far capire quanto male sono messa.
Mi parte l’embolo, quando sono là dentro, come a certi parte quando entrano in
un negozio di vestiti, o in una ferramenta.
Allora, siccome avevo lo sconto (ben 5 euro di sconto) e a casa un sacco di libri nuovi da
leggere, mi è sembrato logico andare a spendere un pochi di soldi, che quando
mai mi ricapita nella vita di avere 5 euro di sconto?
E’ stato in quel momento di mania compulsiva, che ho visto sullo scaffale L’Uomo che Amava le Donne. L’uomo che
amava le donne, è il titolo di un libro, non una persona.
O meglio, nel libro è una persona, ma sullo scaffale era un libro. Ci tengo a
precisarlo che il mondo è pieno di pignoli e magari qualcuno era già lì, pronto
a immaginarsi una specie di maniaco che si nascondeva tra i ripiani.
Quindi, ho posato a terra la pila di 8 libri che avevo nelle mani, e ho aperto
quello di Truffaut.
Dove l’ho aperto cominciava così “Nulla assomiglia a un funerale più di un
altro funerale.” E niente, me son subito ciapà ben.
Ho chiuso un occhio sul fatto che fosse impaginato di merda, sempre per via del
fatto che avevo lo sconto, credo.
In questo romanzo, i protagonisti trombano ma continuano a darsi del lei. Il
perché non lo so. Uno può pensare perché è ambientato nel 1200 e invece no
perché siamo nel pieno della consapevolezza sessuale degli anni 1970. Non so se
in Francia si usa fare così, io in Francia non sono mai stata.
Ma direi che possiamo andare anche oltre.
L’Uomo che amava le donne, è un libro dentro nel libro, anche se personalmente
la storia narrante l’ho trovata più piacevole di quella battuta a macchina.
Ma è anche un gioco di specchi in cui capiamo di essere finiti dentro solo alla
fine, quando nell’ultimo capitolo l’io narrante passa da un punto di vista
soggettivo a uno oggettivo.
Del signor Bertrand (che è il protagonista) abbiamo pochi indizi.
Intanto, sappiamo già dall’inizio che muore, per cui credo la curiosità di
scoprire come sia finito sotto terra ci spinga a procedere nella lettura.
Sappiamo che è un ingegnere.
Non ci è dato sapere il suo aspetto fisico, ed è difficile immaginarlo in
quanto Truffaut ci fornisce pochi dettagli in merito, ad ogni modo Bertrand è
uno che cucca alla grande. Io per rendermi la vita facile me lo sono figurato
nella testa una cosa tipo Mel Gibson, giusto così, perché a me il Mel fa
sangue.
Truffaut mi ha divertita, devo ammetterlo.
Ero partita male con questa convinzione di trovarmi davanti all’ennesimo
francese pompato, orgoglioso e pieno di sé, o meglio, Truffaut è decisamente
auto celebrativo ma riesce a non rendersi antipatico proprio grazie al suo
elegante e sottile umorismo.
Esattamente come il mio insegnante di scrittura creativa.
Titolo: “Queste
Stanze Vuote”
Autore: Massimiliano Maestrello
Edito: La Gru
Numero pagine: 215
Mese: Giugno 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: questioni d’affetto.
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Quando il mio amico Mona mi ha detto Va’ che è uscito il mio libro sono stata felice
per lui, come quasi ce l’avessi fatta anch’io.
Ma avevo paura a leggerlo nonostante conoscessi le sue capacità e la passione
che anima la sua penna.
Dare un giudizio obiettivo a un amico è sempre difficile, ovvio non lo è quando
il rapporto è costruito su un allegro mandarsi a fare in culo senza paura di
piegare qualche equilibrio.
Avevo voglia di leggerlo “Queste Stanze
Vuote” ma non volevo allo stesso tempo essere di parte, che se c’è un
qualcosa su cui vale la pena contare è la sincerità.
Prima di avere tra le mani il suo libro, avevo deciso che per essere il più
neutrale possibile, avrei adottato un metodo.
Avrei preso altri due libri dalla mia libreria, libri dello stessa grandezza e
possibilmente della stessa struttura grafica, li avrei rivestiti tutti
–compreso quello del Mona- con della carta da giornale e solo poi, avrei
cominciato a leggerlo scegliendone uno a caso, senza sapere quale fosse il suo
ma sapendo che prima o poi, avrei cominciato a leggerlo.
Ma alla fine ho pensato che insomma, ho più di 30 anni e ‘sti escamotage non
servono a nulla, che tutto sommato mi piace assumermi le mie responsabilità, ma
soprattutto, la voglia di cominciare a leggerlo era di gran lunga superiore a
quella di darmi al decupage.
Per cui è successo questo.
Una sera ho lavorato fino a tardi, una doccia veloce e poi via che la cosa più
piacevole che possiamo concederci in queste sere, in cui l estate non s azzarda
ancora a soffocarti col suo caldo ma il freddo ha smesso di mordere, è stare un
po' di tempo con gli amici. Sono uscita con loro e ho comprato un libro, questo
libro. Sono tornata a casa per quella che per il mio
orologio biologico era ora tarda, ma non ho resistito. Prima di chiudere gli occhi ho dovuto cominciare a
leggerlo, per piacere mica per obbligo. Almeno il primo racconto su sette, mi sono detta.
Sapevo già cosa m’aspettava, e ne ho avuto la
conferma: uno scrittore capace di trasformare ogni singola parola in immagine,
in grado di far partire una storia in una maniera facendola capitolare in un’altra.
L'abilità di tenerti incollata fino all’ultima riga, la smorfia di un sorriso
intrappolata tra la risata e il dubbio.
Nel giro di pochi giorni l’ho divorato.
“Queste Stanze Vuote” l’ho letto in
qualsiasi ritaglio di tempo possibile,
E’ bello quando ti ritrovi ad affrontare quel genere di libri da cui non riesci
a staccare gli occhi, così come è bello leggere un racconto, buttarsi per
strada e avere la sensazione di riviverlo, come se quelle parole non fossero
solo scritte, ma come se parlassero attraverso le esperienze che ci sfilano
sotto il naso tutti i giorni.
La peculiarità, la cosa che personalmente m’ha fatto più impazzire di “Queste Stanze Vuote” è stato il doppio
uso degli intenti a cui ha ricorso Maestrello.
O almeno, io l ho interpretato così, sebbene lo stile pulito dello scrittore
non ti chieda lo sforzo di farlo.
Sono i personaggi che ti chiedono di prestar loro questo genere d’attenzione.
I protagonisti urlano un urlo soffocato in questi racconti: ecco quindi che ad
esempio un braccio comincia a prendere la forma e lo scopo di chi se lo porta
in giro, oppure una ragazza che odia la matematica basa le proprie decisioni
attraverso dei calcoli e all’occasionale comparsa dei numeri pari o dei numeri
dispari, e poi ancora l’orgoglio, la violenza che scatena la violenza e lascia
in bocca solo il gusto della ruggine, le case che si trasformano seguendo
l’inadeguatezza di uno sto d’animo, un marocchino che forse è una mosca, il
rimbalzare di un pallone che segue il ritmo di un ossessione molto più fragile
e profonda.
Io, che il Max lo conosco di persona, posso dirvi che a vederlo con tutta
quella barba lì che si porta in giro, magari mai lo direste.
Ma basta leggere il suo libro per capire che dietro a tutto quel pelo, si
nasconde una grandesensibilità,
l’educazione nel rapportarsi con la gente, l’attenzione e il rispetto
necessario a non ferire la stessa sensibilità degli altri non ponendosi mai al
di sopra delle parti, l’umiltà atipica dello scrittore emergente capace di
farsi in disparte e di trasmettere il tutto nei suoi stessi personaggi.
Personaggi mai presuntuosi, mai sfacciati, che si presentano a noi in punta di
piedi lasciando comunque l’impronta del loro passaggio da qualche parte sulla
nostra pelle, proprio là dove nasce la pelle d’oca.
Potrei dire d essere orgogliosa d
avere un amico così, e lo dirò, ma non voglio sembrare di parte. Per questo concludo dicendo che dopo aver letto questo
libro, ho fatto una cosa che non mi succedeva da tempo.
L’ho chiuso e ho cominciato a leggerlo un’altra volta.
Una conclusione che forse, potrebbe bastare.
Titolo: “La
Scopa del Sistema”
Autore: David Foster Wallace
Edito: Einaudi
Numero pagine: 553
Mese: Giugno 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: autore consigliato da un amico
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Sebbene in apparenza questa possa sembrare una raccolta di racconti, nulla è
più distante ad esserlo.
La forza de “La Scopa del Sistema” è
proprio questa.
C’è la storia tra tante, di un vanitoso di secondo grado, e quella di un
bambino che si lancia di continuo dai tetti per poi finire da grande a studiare
arte.
C’è un uomo che ordina nove bistecche (nove - bistecche - sissignore!) e lo fa
per ingrassare a tal punto da non lasciare più spazio per nessuno
nell’universo.
Ci sono i tipici tramonti Clevelandiani color zucca, e c’è uno psicologo con
una strana sedia e due pupille che in realtà, sono due verdi e minuscoli
simboli di dollaro.
C’è un deserto artificiale e un medico che conosce la cura per non far piangere
i bambini.
C’è una stanza tropicalizzata in una casa di riposo e degli anziani che
scappano in gruppo, non mancano gli omogeneizzati dagli ingredienti chimici
portentosi, e un tunnel sotterraneo della linea telefonica di un call center.
E c’è un uomo, che se ne va in giro con una bambola gonfiabile presentandola
agli estranei come la sua compagna.
C’è un tizio, che compare nelle televendite dimostrando al pubblico dei mini
aspira-polveri capaci di succhiare il sudiciume più ostinato dell’incavo
dell’ombelico.
E una donna, che gira con una sciarpa al collo per un ovvio motivo di
raganella.
C’è una madre separata in casa dai propri figli che atterra di botto dall’alto
e nell’impatto, espelle il figlio di 8 mesi dall’utero e dall’esplosione, il
figlio nasce senza gamba.
E c’è una gamba con uno scomparto segreto, al cui interno nasconde ogni tipo di
droga possibile.
E un genio.
C’è un pappagallo che recita sermoni cristiani in tv, confondendo princìpi teologici
con qualche discorso erotico e ci sono i mille impieghi che può avere un manico
di scopa, a patto non intendiamo un manico di scopa come qualcosa di assoluto.
Ci sono Lenore senior e Lenore junior e saranno proprio loro a farci da Caronte
in questo gioco di cerchi.
David Foster Wallace invece non c’è più, così ha deciso, e questo è un gran
peccato.