sabato 25 gennaio 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n47 "ORGOGLIO e PREGIUDIZIO" J.Austen



Titolo: “Orgoglio e Pregiudizio”
Autore: Jane Austen
Edito: Giunti Demetra collana Acquarelli
Numero pagine:397
Mese: Dicembre 2013
Motivo che mi ha spinto alla lettura: l’amour.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà

Avevo già provato in passato ad affrontarlo, l’Orgoglio e il Pregiudizio,
Posso dirvi di preciso il mese e l’anno perché ogni volta che comincio un libro, mi segno la data in prima pagina.
Era l’Agosto del 2012.
Sempre a titolo di cronaca, in fianco alla data ho fatto una freccia, e accanto alla freccia, ho scritto testuali parole “Non ghè verso.”
Che i veneti magari capiscono cosa vuol dire, ma per quelli che veneti non sono, potrei tradurlo così: “ho provato a leggerlo più volte ma poi ho abbandonato l’impresa.”

Questo per una serie di motivi ma per due in particolare.
Il primo, perché ero senza l’amore, il secondo perché mi sentivo confusa.
Due motivazioni che all’apparenza possono andare a braccetto ma in realtà sono due cose ben distinte.

Amare non amavo nessuno, nell’Agosto del 2012 ci avevo l’acidità di stomaco e non mi sentivo propensa alle romanticherie, per cui non riuscivo a sentirmi totalmente coinvolta.
Il disincanto delle volte gioca brutti scherzi.
Tipo non ti lascia libero di leggere quello che vuoi.

La confusione invece, me l’ha fatta la Austen.
E me l’ha fatta già dalle prime pagine, per cui mi ha scoraggiata in partenza.
Poi mi spiegherò meglio altrimenti la mia amica Monica –a buon ragione- mi dice che quando legge le mie recensioni si capisce mai bene quello che penso.

Insomma, a farla corta e breve, succede che nel Dicembre del 2013 il mio ragazzo (che sempre a essere precisi l’ho conosciuto dopo dell’Agosto 2012) decide di farmi passare un fine settimana tipo principessa Sissi, e al mio ritorno a casa sentivo ancora il peso del gonnellone addosso, l’acconciatura coi bigodini, e il corpetto che mi strizzava il sangue e mi son detta “Perché no? Fatto 30 faccio 31 adesso mi leggo Orgoglio e Pregiudizio.”

E così ho fatto.
Mi sono fermata prima in pasticceria a comprare delle madeleine, ho buttato il decotto di bergamotto nel pignattino con l’ acqua calda, ho liberato la coperta di lana dalla naftalina, e ho dato il via alle danze.
Immagino fuori piovesse.
Lo dico così, anche non fosse vero, per completare il quadro.

Ritengo a questo punto indispensabile smettere di parlare della mia vita privata e andare oltre allegando uno schema.
Lo faccio per chiunque voglia avventurarsi in questa lettura.
Lo faccio per evitare anche a voi la confusione in cui io stessa mi sono ritrovata in passato (la stessa confusione di cui vi parlavo qualche riga fa).
Lo faccio perché caspiterina le prime 109 pagine di questa edizione sono pregne di nomi e credo sia facile andare in tilt.

Allora, la famiglia PROTAGONISTA è la famiglia
BENNET.
Il signore e la signora Bennet sono i genitori.
Terrei precisare che il ruolo del padre è quello d’assistere a continue discussioni su cosa sarà della sua eredità una volta morto.
I Bennet hanno 5 FIGLIE.

1-ELIZABETH (detta LIZZY) è il personaggio principale dell’intero romanzo. La cocca del padre.
2- JANE è la figa della nidiata, e ha un rapporto simbiotico con la prima.

3- LYDIA                      Queste tre possiamo raggrupparle.
4- MARY                      Le fa mucio ma no le serve a un casso. Sono tipo
5- CATHERINE            le sorellastre di Cenerentola, ma più insulse e saughe.

CHARLES BINGLEY è il nuovo vicino dei BENNET, ricco da far schifo, figo, e modo.
Ha un cognato. Si chiama signor HURST.
E delle sorelle, due mi pare, una si chiama CHARLOTTE e farà dei gran casini.
Il signor Bingley inoltre ha un amico. Si chiama signor
DARCY che è più figo del Bing, el ga ancora più schei, ma l’è (a pregiudizio) el mal cagà della situazione.

I LONG sono una famiglia, non occorre ve li ricordiate tanto scompaiono subito dalla storia.
Occorre ricordiate però i
LUCAS amici dei BENNET che hanno una figlia di nome CHARLOTTE, amica intima di LIZZY dovete rammentarla  perché poi si sposerà col signor
COLLINS.
Il signor COLLINS –che io sappia- non è mio parente, ma è il cugino delle sorelle BENNET.
La sua protettrice si chiama LADY CATHERINE, per gli amici “pigna in culo”, e ha una figlia, la signorina BOURGH, promessa sposa sin dalla tenera età del signor BINGLEY.

I PHILIPS sono gli zii delle sorelle BENNET, non imparentati col Collins, però. Importante tenere a mente un altro parentado i GARDINER capitanati dalla parte femminile della coppia.

Compaiono inoltre due ufficiali.
Il signor DENNY e il suo amico forestiero, il signor WICKMAN.
Ricordate Wickman che c’entra anche lui col discorso del pregiudizio.



Questo mi pare è quanto.
Per quel che riguarda il romanzo, posso dire che sulle prime, mi sono ritrovata spiazzata.
Non lo so, tutta questa educazione mi destabilizzava.
Sembra che tutti i personaggi si facciano lo scrupolo di mandarsi a cagare anche quando sarebbe il caso di farlo.
Abituata a vivere nel mondo in cui mi sono trovata, ero sempre lì pronta ad aspettare che qualcuno prima o poi tirasse un sonoro rutto, o un vaffanculo di cuore ma non è mai successo,
Un po’ c’è d’ammetterlo ci sono rimasta male ma poi ho messo da parte l’orgoglio, ho chiuso le gambe come le signorine e col mignolo alzato, ho continuato a sfogliare le pagine.
E ancora una volta metto da parte l’orgoglio dicendo che cavoli, passata la confusione e depositate le armi, mi sono trovata di fronte a una storia davvero coinvolgente.
Ora forse è vero, continuo a chiedermi che fretta avessero a sposarsi, la gente.
Voglio dire, nel 1800 succedeva così.
Due si innamoravano e tempo un niente erano già marito e moglie.
Fortuna i tempi sono cambiati perché a ben pensarci è un rischio, no?
Che ne so.
Decidi di passare la tua vita con tizio.
Lo decidi così, senza averlo prima conosciuto veramente a fondo.
E poi magari finisce che ti ritrovi a dividere lo stesso tetto con uno che metticaso soffre di flautolenza, o mangia con la bocca aperta, o si lava una volta la settimana, o ha la mania di toccarsi il pacco, robe così insomma.

Una storia d’amore che più d’amore non si può, che scorre come su una macchia d’olio e volentieri, ti tiene compagnia,

Per concludere vorrei mettere da parte i miei pregiudizi riguardo gli happy end.
Perché la Austen se la cava alla grande a portare il tutto a buon fine.
Costruisce l’ultimo capitolo in modo piacevole, e sebbene noi tutti sappiamo che la merda resta merda se un sogno è speranza, lei ci regala l’illusione che si può mica  vivere eternamente in un letamaio.









giovedì 23 gennaio 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n46 "TUTTI i RACCONTI" F.Kafka



Titolo: “Tutti i Racconti”
Autore: Franz Kafka
Edito: Grandi tascabili economici Newton
Numero pagine:358
Mese: Novembre-Dicembre 2013 Gennaio 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: il mio prof di scrittura creativa me ne ha fatto una testa tanta.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Il peggior sforzo che si possa richiedere alla mente di una persona, è quello di cercare simbolismi tra le righe.

Che dire di Kafka?
Mi sa da tipo che ama essere lasciato solo con la propria risata.
E poi mi sa anche da uno che vive barricato in casa, con le serrande abbassate e mille flaconi di alcol etilico a uso disinfetto – qualsiasi – cosa - tocco.
E resta al buio, le più volte. Per scelta.
E a volte si rosicchia le unghie dei piedi fino a farli sanguinare.
Quando ovviamente non è convinto che un esercito di formiche si stia intrufolando in ogni singolo poro della sua pelle e prende a pizzicarsi l'epidermide fino a farsi uscire i bubboni.
E dopo quando sopra i bubboni gli ci si fanno le crosticine, le stacca una a una e le conserva in un barattolo poggiato su di una mensola impolverata, posizionata immediatamente sopra allo stelo secco di quello che prima era un rigoglioso ficus benjamino.
E a volte anche esce, ma quando lo fa, diventa uno di quelli che mentre camminano si voltano di continuo convinto che qualcuno lo stia seguendo.
Credo pisciasse in piedi. Non è uno di quelli che si siede sul water per urinare. Nemmeno a casa sua. E mica perché la tazza ormai è gialla, ma perché pisciare da seduti non è una filosofia che gli appartiene. Tutto lì.
E dopo mi sa da uno che gioca a fare le ombre cinesi sulle parete.
Parte prima serio.
Stendi gli palmi delle mani, incrocia gli pollici e fa l’aquila.
Dopo poggia il gomito destro sulla mano sinistra, piega il polso della mano destra, unisce le 4 dita al pollice e fa lo struzzo.
Dopo alla fine si annoia, mette la lampada dietro alle orecchie e proietta sul muro la sagoma di Dumbo.
Lo fa così, giusto per ridere, poi torna a staccarsi le crosticine dai bubboni.
Sovente si scaccola, ma chi non lo fa?

E tutto questo traspare nella sua scrittura.
Nelle sue parole c’è lo sconforto, la rassegnazione di far parte di un mondo immutabile, il tormento di dover convivere con ciò che da sempre non è mai cambiato, l’assoluta certezza di dover vivere in un posto marcio, dove i sognatori trovano respiro solamente in ciò che la realtà trasforma in grottesco, le sue pagine pullulano di false sicurezze che portano a tutto fuorché alla leggerezza.
Un umorismo nero che entra a far parte di te non da subito ma via-via che riesci a toccare le corde del suo stile.
Leggi Kafka e vieni travolto dalla stessa inquietudine che poteva prendere un malato di febbre nel 1800.
E riesci quasi a convincerti che l’esistenza sia solo un peso.

Mi sono ritrovata ad appassionarmi, davanti ad alcune sue storie ma al contempo, a cominciarne altre e a lasciarle indietro, forse più che per noia, per colpa della scarsa curiosità nei loro confronti.
A volte manca di vivacità.
Non è una battuta.
Vivacità intesa come ritmo, che sono convinta possa esistere anche nel buio più scuro.

Chissà se Franz Kafka avesse conosciuto Tonino Guerra, di cosa avrebbero parlato.

Ho chiuso il libro, e ho sentito dentro una gran voglia di leggere “Le Avventure di Tom Sawyer.”



domenica 5 gennaio 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n45 "DUE PINTE di BIRRA" R.Doyle


Titolo: “Due Pinte di Birra”
Autore: Roody Doyle
Edito: Guanda
Numero pagine: 153
Mese: Dicembre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: l’entusiasmo della critica


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Capita mai a voi?
Di farvi abbindolare dai pareri positivi di qualche critico di un qualsivoglia giornale importante e poi, grazie a questi, comprare il libro in questione?
O di trovarvi in libreria a farvi incantare dall’offerta “acquista 3 Guanda, il 4 te lo regaliamo noi?”

Io in entrambi i casi ci sono cascata con entrambi i piedi.
Per questo, ho preso Due Pinte di Birra.
Non sto parlando di un litro di luppolo, no, per quello non mi servono specchietti, per prendere quello mi affido al mio buon gusto e al mio istinto.

Due Pinte di Birra è il titolo di questo libro definito da The Indipendent “Un autentico genio della comicità” e da Telegraph “Un libro spassoso e provocatorio”.
L’ha scritto Roody Doyle, autore di “Paddy Clarcke ah ah ah!”

Lui è irlandese.
Anche il fatto venisse da una terra che amo con tutta me stessa, mi ha spinto a comprarlo.
Gli irlandesi sono fantastici, se in Irlanda non ci siete ancora stati dovete andarci.

Eh, pure la copertina è bella.
Io anche volentieri mi lascio conquistare dalle illustrazioni.

Lo dico per orgoglio, solitamente una sfogliata a quello che prima devo comprare, la do.
Ma quel giorno lì fatalità nella libreria avevo intravisto una che non mi stava tanto a genio e per godere della promozione –visto e considerato che i miei tre libri li avevo scelti- ho preso quello che più a pelle mi attizzava e via sono corsa alla cassa.
A volte le librerie non sono mai abbastanza grandi e nascondersi dalle persone diventa difficile.
La tizia non credo mi abbia vista, non mi ha salutata e in ogni caso per quel poco che ci siamo conosciute credo l’abbia capito che sono acida nell’animo, quindi magari vista  mi ha vista solo che lei non si fa tante pippe mentali come me, e se n’è fregata se in quel momento le rubavo l’ossigeno.
Chiaro, quel poco di ossigeno che mi ha concesso per bontà d’animo di respirare.

Ma non siamo qui a parlare della mia sociopatia.

E’ particolare, questo libro.
Particolare nella struttura, intendo.
Non siamo davanti a un romanzo e nemmeno a una raccolta di racconti.
Ma ad uno scambio di dialoghi.
Ogni pagina è caratterizzata da un continuo apri e chiudi di virgolette.
Botta e risposta tra due amici che con una certa costanza, decidono di trovarsi in un pub davanti a una birra e a parlare con cinismo di cronaca, politica, gossip e del nipote di uno dei due –Damien- che è una sagoma mica da poco e via andare.

Non lo so.
Non mi ha convinta.
Ci vedo del potenziale in R.Doyle, ma qui non lo vedo sfruttato al massimo.
Proprio per questo, riguardo all’autore non voglio spingermi oltre.
In Due Pinte di Birra, nel complesso, ci sono delle uscite simpatiche di quelle tipo che ti fanno sollevare il labbro superiore. Come quando si finge di alzarlo con un filo immaginario.
Una lieve smorfia timida, non sufficiente a far dar aria ai denti.