Titolo: “Si
Chiama Francesca, Questo Romanzo”
Autore: Paolo Nori
Edito: Marcos y Marcos
Numero pagine: 218
Mese: Marzo
Motivo che mi ha spinto alla lettura: Paolo Nori, è Paolo Nori, inutile che
stiam qui a dar troppe spiegazioni.
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Si Chiama Francesca, questo romanzo.
Ha un titolo con dentro una virgola.
Nei titoli, ci va la virgola?
Beh perché non si può mettere la virgola in un titolo?
Ognuno delle virgole è padrone di farcene quello che vuole.
Io ad esempio, le metto anche nel caffèlatte la mattina, le virgole.
Si Chiama Francesca, questo romanzo.
E’ un libro che parla e non parla d’amore.
Di uno che è in fase riabilitativa perché è autobiografico, questo romanzo che
Nori era rimasto chiuso in una macchina finché mentre che prendeva il fuoco,
che l’ha già spiegato abbastanza in un altro, di suo romanzo, che fa Grandi
Ustionati, il titolo di quel romanzo là, ma questo fa Si Chiama Francesca,
Questo romanzo e Nori dall’ospedale è già uscito e ora è a casa che si cura,
adesso, Paolo Nori, e comincia questa storia con lui che va a camminare storto
con le sue pustole verso un muretto e là ci va per pensare. Poi questa storia
finisce che ci scrive un libro, con i pensieri che gli vengono, e la sua tutina
aderente da super eroe ustionato che fabbricano però solo nella Irlanda, e alla
fine della fiera, si chiede “com’è che si può resistere alle bastonate che
arrivano da tutte le parti” e anche qualche altra cosa.
Ci scrive una storia d’amore, cioè, la scrive e non la scrive.
Voglio dire, scriverla la scrive di questa cosa che gli capita Francesca, che
compare pure nel titolo il suo nome, però se gli chiedete a lui, a Nori, dice
che si è limitato a scrivere una brutta storia d’amore.
Io se volete che vi dica come la vedo, ora ve lo dico.
Questa storia per me è la storia di un tale che fa Giordano Maffini, di nome.
Però più che una storia che ci ha un filo, forse è una cosa più simile a un
minestrone, perché dentro, ci sono pure un sacco di storie sufi*, e una fila di
madonne, ma anche delle vocine della testa che se Nori non scrive gli ci dicono
E bé? Perché non scrivi? E se invece Nori scrive, gli ci chiedono E bè? Ma
perché non vai a pescare?
Però.
C’è pure il soffitto di una cameretta. Un soffitto normalissimo, l’unica cosa è
che c’è l’impronta di una scarpa, stampata sopra, che uno ci può passare anni a
chiedersi chi cazzo è andato in quella cameretta, a camminare sul soffitto.
*sfido chiunque,
a dirmi se sa’ cosa che è una storia sufi, allora –e la dedico soprattutto a
chi ha la passione di scrivere, ma anche no- ve ne scrivo una che è qui dentro
in questo libro che Si chiama Francesca, Questo Romanzo. Non è che la storia
sufi s’intitola Si Chiama Francesca, Questo Romanzo. No, quello è il titolo del
libro, il titolo di questa storia sufi è
STORIA SUFI.
C’era un maestro sufi che aveva voglia di scrivere una storia bellissima che
aveva in mente, solo non la scriveva.
E bè, gli chiedevano i suoi allievi sufi, perché non la scrivi?
Non la scrivo perché ho voglia di scriverla, diceva il maestro.
Bé gli dicevan gli allievi, come sarebbe? Se hai voglia di scriverla, gli
dicevano, scrivila.
No, diceva il maestro.
E perché? gli chiedevan gli allievi.
Le storie sufi, rispondeva il maestro, vengono bene quando si scrivono se non
ne hai voglia. Che uno resta distaccato, vengono fuori delle storie
meravigliose, diceva il maestro.
Titolo: “Dita di
Dama”
Autore: Chiara Ingrao
Edito: La Tartaruga Edizioni
Numero pagine: 227
Mese: Marzo
Motivo che mi ha spinto alla lettura: me l’ha regalato la mia cugina Chicca,
quella di Sommacampagna impegnata nella CGIL
RECENSIONE E
OPINIONI DI DUBBIA UTILITA’.
La mia cugina, quella che si chiama Chicca, che è di Sommacampagna, che ci ha
il suo bel da fare col sindacato, da anni è convinta che io ci ho 21 anni.
Ogni anno, quando che a Gennaio gli anni li compio per davvero mi chiama e mi
dice Auguri, sono 21, vero? Io subito la correggevo, poi è diventato un gioco,
questa cosa che io sono l’unica persona al mondo che non va avanti con l’età.
Nel 2010, infatti, mi ha regalato questo libro, che fa Dita di Dama, di titolo,
e sulla prima pagina, mi ha scritto una bella dedica, che mica ve la riporto
perché son fatti nostri, vi basti pensare che la dedica comincia così: Buon
compleanno 21enne! E detto questo, dei fatti miei vi ho già detto abbastanza.
Dita di Dama, l’ho letto nel 2010, ma poi, ho voluto leggerlo ancora, in questo
Marzo del 2013, per due motivi.
1-Marzo è il mese delle donne.
2-Questo romanzo, parla di donne che lavorano in una fabbrica nell’autunno
caldo del 1969, proprio come quelle là di Nuova York nel 1909 e proprio come
me, nel 2013.
E da allora ad oggi è cambiato un po’ tutto e un po’ niente, questo ve lo devo
dire.
Dita di Dama, non è il nome di un biscotto, ma sono dita di donne che
s’incrociano, dita che si riempiono di calli, di tagli, dita screpolate che
sanguinano e dita mozzate.
Sono dita che si stringono ad altre dita, dita che puntano il dito sul buio,
dita forti e insieme delicate.
Dita che sfiorano, respingono, dita che parlano, dita che scrivono la storia di
dita che han fatto la storia.
Bene, ora se mi riesce di uscirne dal tunnel della poesia, magari ve ne parlo
meglio.
Questa, è la storia di Maria, raccontata da Francesca, amiche dai tempi
dell’infanzia.
Maria, lavora in fabbrica, perché per forza, Francesca fa la Università, per lo
stesso motivo.
Il tutto, come vi ho già accennato, ruota attorno all’autunno caldo del 1969 e
dintorni, e le foto scritte nel libro, appaiono tutte, nessuna esclusa.
Non manca Moro, il diritto al voto raggiunto solo ai 21 anni, Piazza Fontana,
il Divorzio, il PCI, gli atleti israeliani sequestrati al villaggio olimpico di
Mosca, Feltrinelli, il commissario Calabresi e pure il volo di Pinelli, la tv a
colori e anche quelli di Reggio.
Questo sfondo, viene mischiato
insieme in una maionese impazzita, con le lotte dei lavoratori per i loro
diritti, l’arrivo dello Statuto, la parità dei sessi, la dignità.
E Francesca, ci racconta il tutto pensando al passato, che questo libro lo
scrive col senno di poi, perché quando è che la Storia arriva, mica che ti
telefona e ti dice Ciao sono la Storia sto arrivando, ma capisci che è arrivata
quando è bella che passata.
I ricordi di Francesca sono confusi, come quelli di una che tutto questo, l’ha
vissuto da dentro di una campana di vetro, ma la scrittura è chiarissima e
arriva dove ci ha da arrivare, il suo sguardo distaccato, permette di avere un
insieme del tutto senza schieramenti politici, come che mi piace a me.
Ci pensa invece Maria, a prendere una posizione, parlando nel suo sindacalese
stretto, e Maria, pure all’interno del romanzo sa’ farsi sentire, sebbene non
sia Maria, a scriverlo il romanzo, ma Francesca, come vi ho già detto. State
attenti o no, accipicchia?
Mi piace, che questo libro sia stato ambientato a Roma, i dialoghi in romanaccio
mi piegano, e sono azzeccati nel contesto perché riescono a rendere un po’ più
leggere situazioni che altrimenti sarebbero pesanti e a tratti drammatiche.
Mi piace non sia ambientato a Milano, perché sicuro il risultato sarebbe stato
meno verace.
E ci sono a raccontarci tutto quel che succede, insieme a Maria e anche a
Francesca, tanti molti personaggi, come nel libro Cuore, che come pure nel
libro di De Amicis, vengono chiamati non
per nome di battesimo ma con un nome di pura fantasia.
Come che nelle fabbriche, che è vero, che tutti si danno i sopranomi.
Non vi dico qual è il mio, perché non mi va.
E allora ci sono
La FACIOLARA che la chiamano così perché borbotta come che una pentola di
fagiuoli.
MAMMASSUNTA che la chiamano così perché è come che la chioccia di tutte le
giuovini.
‘ARROSCETTA che la chiamano così perché ci ha i capelli rossi.
La PAOLONA che la chiamano così perché è tutto fuorchè una sogliola.
La NINANANA che la chiamano così mica per cantilena ma perché si chiama Nina ed
è la cosa più distante dall’essere un gigante.
La BRISCOLETTA che la chiamano così perché è pallida, ramicia e pare che ci
abbia sempre da avere un malore.
‘A STRONZA che la chiamano così perché, beh, ‘a stronza è na stronza, punto e
basta.
Leggetelo, ve lo consiglio che siate donne oppure uomini, che lavorate in una
fabbrica o in un qualsiasi altro posto.
Per ricordarci che i diritti- prima di noi- qualcuno li ha conquistati e oggi
li abbiamo solo se li esercitiamo.
Quest’ultima frase è parte della dedica della mia cugina Chicca.
“Della libertà e
dignità del lavoratore”
–Titolo I Statuto dei Lavoratori
“Il lavoro è sempre di merda, ma adesso almeno un po’ se ride” –Ninanana.
Ci ho da avere il tappo del banalatismo nel cervello, l’ho letto da qualche
parte, non vi dico dove che già sicuro lo avete intuito.
E’ così che funziona, quando che è il tuo momento che ci hai da dire quello che
ti passa per nella testa, la gente, ci ha grandi aspettativamenti,da te.
E allora, quando è che tutti stanno lì ad aspettarti e ci hai lo spazio per
farlo, eppure anche il tempo degli altri per farlo, è in quei momenti, che mi
viene il tappo del banalatismo, nel cervello.
Ora io non so esattamente cosa che è il banalatismo ma dev’essere qualcosa di
abbastanza di vicino a questo.
Una cosa da artisti, quello è sicuro, ce lo deve avere pure Lady Gaga, questo
tappo, per quello che delle volte quando che fa gli spettacoli gli ci passano
delle idee strane per nella mente, come attaccarsi con una corda al collo, o
passarsi una bambola là dove che non batte mica il sole. Dev’essere perché a
delle volte non sa cosa cantare o come che far passare il tempo per arrivare
alla fine dello spettacolo, e allora fa quelle cose di tipo lì, con tutto che a
me Lady Gaga mi piace proprio un sacchissimo.
Ora io state tranquilli che adesso non mi ci attacco con una corda nel collo, e
non mi ci metto a fare i giochi con le bambole, ma se mi riesce, cerco di dirvi
qualcosa.
Ho pensato che forse, è tutta colpa di queste scarpe col tacco, che mi
stringono le vene e allora il sangue è fatica che va dove che ci ha da arrivare.
O che forse, quella volta là che per sbaglio il pennellino del mascara invece
di metterlo dove che andava da mettere, me lo sono infilato dritto nell’occhio,
per la fretta, quella volta là ci avevo solo mezz’ora per truccarmi, prima di
andare alla presentazione di quella che ha scritto le Sfumature, che proprio c’era
lei, là nella profumeria, proprio lei che lo presentava, dal vivo. Gli ho letti
tutti, perché a discapitamento
di chi mi giudica solo per il mio aspetto, io si sappia, che leggo.
E il pennellino del mascara io credo, che entrando nell’occhio deve avere
toccato qualche nervo che porta al cervello. Se è vero quello che ci era
scritto nel libro di scienza a scuola, che gli occhi ci passano dritti- dritti,
da quelle parti.
Non lo so nemmeno io, ma a parlare di Lady Gaga, di scarpe col tacco, di
Sfumature e di mascara io credo che sto facendo del banalatismo, sempre ammesso
abbia capito cos’è.
Con tutto che voi, siete ancora lì che aspettate io dica qualcosa che vi
scombussoli, che ci avete grandi aspettativamenti, da me in questo momento.
Però forse, pure a parlare del mondo che va a rotoli, mica finisce che si dice
qualcosa di nuovo.
E allora, facciamo che ricomincio da capo.
Titolo:
“Stagioni Diverse”
Autore: Stephen King
Edito: Sperling Paperback
Numero pagine: 587
Mese: Febbraio
Motivo che mi ha spinto alla lettura: consigliato dalla mia amica Shgeeesssica,
detta “Zia Shgessicah cor l’acca.
RECENSIONE E
OPINIONI DI DUBBIA UTILITA’.
Così, tanto per cominciare adesso vi faccio una premessa, che le premesse sono
fatte proprio per essere messe per prime.
Questo fantastico romanzo, che di fantastico romanzo è ciò di cui parliamo, è
bene sapere una cosa, di questo romanzo.
Stephen King, di mestiere fa lo scrittore.
E questo forse già lo sapevate, ma ora vi dico una cosa che forse non sapevate.
Di giorno, stendeva due romanzi, e la sera, prima di andare a letto, così,
giusto perché non sapeva cosa fare, lavorava a “Stagioni Diverse”.
Che non è il nome di un pub e nemmeno di un ristorante, ma del libro che sto
recensendo in questo momento.
Non avete ancora capito perché la primavera vi sta dando alla testa.
Sto parlando di un autentico capolavoro, che è stato scritto da una persona che
-mi auguro- con tutte le buone probabilità di questo mondo, come ogni essere
umano che si rispetti, alla sera tirava la bocca facendo la forma di una grande
“O” e diceva “Vacacan, son desfà tasi che è venua sera anca ancò, adesso vo in
leto e spaco il materasso”. Ma che però prima di addormentarsi anziché leggere
un libro piano piano ne scriveva uno, e soprattutto esclamava quanto ho appena
scritto non in dialetto veronese ma in ‘mericano.
Sono quattro racconti uno più bello dell’altro, talmente belli, che se non li
avete letti, magari li avete visti, perché ci hanno tratto no uno, no due, ma
ben tre film da questi racconti. E i film sono Le Ali della Libertà, L’allievo, Stand by Me. Se a qualcuno può
servire a dormire meglio ‘sta notte, si sappia che Stand by Me è uno dei miei film preferiti. Se dormivate lo stesso,
tanto meglio, se la cosa non vi fa dormire, provate a sfidare King e a scrivere
un libro così fico come il suo.
Signori e signore inchinatevi tutti davanti a questo mostro, genio, stacanovista,
chiamatelo come vi pare che io non saprei perché ogni aggettivo è limitativo.
Con la premessa credo di aver finito, in ogni caso dovesse venirmi in mente
altro, farò una postilla, che le postille sono fatte proprio per essere messe
in fondo.
Stagioni Diverse, nasce nell’anno in
cui io indossavo ancora il pannolone.
Ora, io non sono vecchia, è il libro che è ancora incredibilmente attuale, di
grande spunto stilistico e narrativo per chi, come dei miei amici, gli ci piace
scrivere e vuole se può trarne insegnamento, ma anche per chi, come dei miei
altri amici, gli ci piace solamente leggere così perché ci ha la sua passione e
Dio grassie che esistono anche quelli che gli ci piace leggere se no i miei
amici che gli ci piace scrivere, farebbero la fame, che tanto la fanno già lo
stesso.
Ma stavamo parlando forse dei miei amici? No, allora andiamo avanti e parliamo
di me che da quando sono iscritta a facebook mi viene che è una meraviglia.
Io Stephen King non sono mai riuscita ad affrontarlo prima di qualche giorno fa
e se ci avete un po’ di pazienza, ora vi spiego pure il perché. Da ragazzina,
la stronza di mia sorella mi ha costretta a vedere It, il film der pajaccio che sbuca dalle fogne e ne sono rimasta a
dir poco scioccata, tanto che pure ora, appena vedo un palloncino volare libero
e leggero nell’aria o un clown, vado via di testa. Non scherzo, se volete farmi
un dispetto, portatemi al circo o liberate a mia insaputa una palla di plastica
colorata nel cielo e assisterete a uno dei miei tanti attacchi di panico. Oh,
adesso che ve l’ho detto, non fate le merde però.
Ma la Sgesssicah che è una mia amica e di lei mi fido, un giorno che stavamo
facendo uno dei nostri discorsi della cultura (zia Shgesssicah non ridere!) mi
ha detto Comprati Stagioni Diverse, vedrai che ti piace!
E la zia Shgesssica ci ha sempre ragione, c’è poco da fare.
Ho letto il libro in pochissimi giorni, e non fa la paura, fidatevi di una
piscialetto come me.
King, ha la grande abilità di saper creare buonissime e brevi tensioni, il
tempo che basta da iniettartele nel sangue ma non troppo da circolare nelle
vene tanto da perdere d’intensità, tipo che comemi pare si chiama adrenalina, questa cosa qui.
Non ti riesce di schiodarti dalle pagine. La stanchezza, e la curiosità reale
del lettore, danno vita a un’ulteriore ansia psico-fisica in grado di fondersi
tutt’uno con le parole dello scrittore, portandoti a una sana isteria che per
l’appunto, non ti permette di poggiare il libro sul comodino.
E non è magistrale solo nelle tensioni, ma pure nel figurato. Le descrizioni
che fa dei personaggi sono a tratti poetiche, ma insieme realistiche. I salti
temporali ti buttano in confusione, ma al tempo stesso ti costringono a
mantenere l’attenzione sulla storia.
Usa un sacco di similitudini, per nulla banali. Purtroppo me ne sono accorta
solo a metà libro, che la sua è una scelta stilistica, ma la cosa che mi sono
ripromessa di fare, quando tornerò a leggerlo –perché sicuramente lo farò- è di
segnarmele tutte, una per una. Ne vale la pena, non sono esaurita, calmi tutti,
leggetelo per capire cosa intendo dire.
Non sono portata per i finali intuitivi, mi danno una punta di fastidio ma King
lo può fare. Geniale l’idea di giustificare questa cosa che gli appartiene,
inserendolo in un racconto tramite la voce narrante di Gordon, uno dei protagonisti
de Il Corpo (Stand By Me) racchiuso appunto in questa raccolta. C’è
quella scena, in cui Gordon racconta una storia di sua fantasia agli amici,
perché Gordon scrive i racconti.
“Sì, bene, e poi che è successo?” chiese ansioso Teddy.
“Non lo so.”
“Come sarebbe non lo sai?”
“Sarebbe che è finito. Quando non sai dopo che cosa è successo, allora è
finito.”
“Cooome?” esclamò Vern (…) “Com’è questa storia? Come ne esce?”
“Devi usare la tua immaginazione.”
Avrei voglia di
parlarvi di ogni singola storia, ma ho paura di annoiarvi, sempre ammesso non
l’abbia già fatto. E non voglio sminuire il grande lavoro fatto dell’autore.
Se però vi ho incuriositi, e decidete di comprarne una copia, ecco forse non vi
consiglio la mia edizione.
Ve la sconsiglio se siete pignoli e amanti dei dettagli, come me quando leggo e
non quando scrivo.
Ve la sconsiglio perché a mio avviso, i traduttori non hanno fatto un buon
lavoro.
Usano spesso forme verbali e ripetizioni cacofoniche che tolgono armonia alla
narrazione. Senza parlare del fatto che ricorrono al verbo incominciò con
grande frequenza.
E io, sebbene il dizionario italiano riconosca la parola “incominciò”, la odio.
Prima di tutto, perché preferisco “cominciò” secondo poi, perché ho grande
fiducia nei sinonimi, che la nostra lingua, quella dello italiano è bella pure
per questo motivo.
Poi va beh ragassi i caratteri sono piccolissimi e talvolta mal stampati, quasi
sbiaditi. Ho rischiato lo strabismo, lo giuro.
Tanti i punti di sospensione. E su questo alzo le mani, che non so se è una
scelta dei traduttori, dell’editore o dello scrittore. Sono ignorante e come
tale forse non dovevo nemmeno tirare in ballo quest’ultimo discorso. In ogni
caso io i punti di sospensione non li sopporto. Mi sembrano una tecnica
sbrigativa per togliersi di mezzo un pensiero e un discorso…
Vi saluto con un paio di righe dello Stephen, comunque…
Le cose importanti sono le più difficili
da dire. Sono quelle di cui ci si vergogna, perché le parole le immiseriscono –
le parole rimpiccioliscono cose che finché erano nella vostra testa sembravano
sconfinate, e le riducono a non più che a una grandezza naturale quando vengono
portate fuori.
(…) E potreste fare rivelazione che vi costano per poi scoprire che la gente vi
guarda strano, senza capire affatto quello che avete detto, senza capire perché
vi sembrava tanto importante da piangere quasi finché lo dicevate. Questa è la
cosa peggiore, secondo me. Quando il segreto rimane chiuso dentro non per
mancanza di uno che lo raccontima
per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare.
Le cose più importanti sono le più difficili da dire, perché le parole le
rimpiccioliscono. E’ difficile far in modo che un estraneo provi interesse per
le cose belle della tua vita.