giovedì 14 marzo 2013

RECENSIONE senza Candeggio n 17. "DITA DI DAMA" -Chiara Ingrao

La Dama Ingrao


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Titolo: “Dita di Dama”
Autore: Chiara Ingrao
Edito: La Tartaruga Edizioni
Numero pagine: 227
Mese: Marzo
Motivo che mi ha spinto alla lettura: me l’ha regalato la mia cugina Chicca, quella di Sommacampagna impegnata nella CGIL
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITA’.

La mia cugina, quella che si chiama Chicca, che è di Sommacampagna, che ci ha il suo bel da fare col sindacato, da anni è convinta che io ci ho 21 anni.
Ogni anno, quando che a Gennaio gli anni li compio per davvero mi chiama e mi dice Auguri, sono 21, vero? Io subito la correggevo, poi è diventato un gioco, questa cosa che io sono l’unica persona al mondo che non va avanti con l’età.
Nel 2010, infatti, mi ha regalato questo libro, che fa Dita di Dama, di titolo, e sulla prima pagina, mi ha scritto una bella dedica, che mica ve la riporto perché son fatti nostri, vi basti pensare che la dedica comincia così: Buon compleanno 21enne! E detto questo, dei fatti miei vi ho già detto abbastanza.

Dita di Dama, l’ho letto nel 2010, ma poi, ho voluto leggerlo ancora, in questo Marzo del 2013, per due motivi.
1-Marzo è il mese delle donne.
2-Questo romanzo, parla di donne che lavorano in una fabbrica nell’autunno caldo del 1969, proprio come quelle là di Nuova York nel 1909 e proprio come me, nel 2013.

E da allora ad oggi è cambiato un po’ tutto e un po’ niente, questo ve lo devo dire.

Dita di Dama, non è il nome di un biscotto, ma sono dita di donne che s’incrociano, dita che si riempiono di calli, di tagli, dita screpolate che sanguinano e dita mozzate.
Sono dita che si stringono ad altre dita, dita che puntano il dito sul buio, dita forti e insieme delicate.
Dita che sfiorano, respingono, dita che parlano, dita che scrivono la storia di dita che han fatto la storia.

Bene, ora se mi riesce di uscirne dal tunnel della poesia, magari ve ne parlo meglio.

Questa, è la storia di Maria, raccontata da Francesca, amiche dai tempi dell’infanzia.
Maria, lavora in fabbrica, perché per forza, Francesca fa la Università, per lo stesso motivo.
Il tutto, come vi ho già accennato, ruota attorno all’autunno caldo del 1969 e dintorni, e le foto scritte nel libro, appaiono tutte, nessuna esclusa.
Non manca Moro, il diritto al voto raggiunto solo ai 21 anni, Piazza Fontana, il Divorzio, il PCI, gli atleti israeliani sequestrati al villaggio olimpico di Mosca, Feltrinelli, il commissario Calabresi e pure il volo di Pinelli, la tv a colori e anche quelli di Reggio.
Questo sfondo, viene  mischiato insieme in una maionese impazzita, con le lotte dei lavoratori per i loro diritti, l’arrivo dello Statuto, la parità dei sessi, la dignità.

E Francesca, ci racconta il tutto pensando al passato, che questo libro lo scrive col senno di poi, perché quando è che la Storia arriva, mica che ti telefona e ti dice Ciao sono la Storia sto arrivando, ma capisci che è arrivata quando è bella che passata.

I ricordi di Francesca sono confusi, come quelli di una che tutto questo, l’ha vissuto da dentro di una campana di vetro, ma la scrittura è chiarissima e arriva dove ci ha da arrivare, il suo sguardo distaccato, permette di avere un insieme del tutto senza schieramenti politici, come che mi piace a me.

Ci pensa invece Maria, a prendere una posizione, parlando nel suo sindacalese stretto, e Maria, pure all’interno del romanzo sa’ farsi sentire, sebbene non sia Maria, a scriverlo il romanzo, ma Francesca, come vi ho già detto. State attenti o no, accipicchia?

Mi piace, che questo libro sia stato ambientato a Roma, i dialoghi in romanaccio mi piegano, e sono azzeccati nel contesto perché riescono a rendere un po’ più leggere situazioni che altrimenti sarebbero pesanti e a tratti drammatiche.
Mi piace non sia ambientato a Milano, perché sicuro il risultato sarebbe stato meno verace.

E ci sono a raccontarci tutto quel che succede, insieme a Maria e anche a Francesca, tanti molti personaggi, come nel libro Cuore, che come pure nel libro di De Amicis, vengono chiamati non  per nome di battesimo ma con un nome di pura fantasia.
Come che nelle fabbriche, che è vero, che tutti si danno i sopranomi.
Non vi dico qual è il mio, perché non mi va.

E allora ci sono
La FACIOLARA che la chiamano così perché borbotta come che una pentola di fagiuoli.
MAMMASSUNTA che la chiamano così perché è come che la chioccia di tutte le giuovini.
‘ARROSCETTA che la chiamano così perché ci ha i capelli rossi.
La PAOLONA che la chiamano così perché è tutto fuorchè una sogliola.
La NINANANA che la chiamano così mica per cantilena ma perché si chiama Nina ed è la cosa più distante dall’essere un gigante.
La BRISCOLETTA che la chiamano così perché è pallida, ramicia e pare che ci abbia sempre da avere un malore.
‘A STRONZA che la chiamano così perché, beh, ‘a stronza è na stronza, punto e basta.


Leggetelo, ve lo consiglio che siate donne oppure uomini, che lavorate in una fabbrica o in un qualsiasi altro posto.
Per ricordarci che i diritti- prima di noi- qualcuno li ha conquistati e oggi li abbiamo solo se li esercitiamo.
Quest’ultima frase è parte della dedica della mia cugina Chicca.




“Della libertà e dignità del lavoratore”Titolo I Statuto dei Lavoratori

“Il lavoro è sempre di merda, ma adesso almeno un po’ se ride”
Ninanana.






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