Uno dei protagonisti della storia, esattamente come potremo immmaginarlo.
Titolo: “Il
Maestro e Margherita”
Autore: Michail Bulgakov
Edito: Mondadori
Numero pagine: 548
Mese: Maggio 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: nell’ultimo libro di Nori che ho letto,
se ne parlava.
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Cosa succede quando il diavolo decide di presentarsi per fare del bene?
Nasce Il Maestro e Margherita.
Facile rimanere affascinati da questo libro sin dalle prime pagine. L’impressione che ho avuto, è stata
quella d’assistere alla scena di un film senza dialoghi con unica voce quella
del narratore fuori campo, messa apposta lì, per darci un quadro romantico
della situazione.
Lampante già dalle prime battute, la potenza di Bulgakov: quella di saper
descrivere le scene sapendo abbinare il surreale al grottesco, l’eleganza
all’irriverenza, la poesia alla poetica; il modo originale di mettere in luce i
dettagli dei suoi personaggi; il saper combinare allegorie e simbolismi
compiendo slalom sagaci per non dare troppe risposte a frasi forse non troppo
celate e alla struttura del romanzo; la maestria di saper giocare con quella
che ai tempi era l’ipocrisia e la mediocrità e la censura sociale; il tono
colloquiale che da ritmo alla narrazione, talmente calzante da farti sentire
coinvolto, nonostante a volte scivoli in una noia che fortunatamente, dura il
tempo di un attimo.
Bene, ora che ho finito di fare la pigna in culo della situazione, passo oltre.
Mi sono segnata a inizio pagina le volte che l’autore ha ricorso alla frase “lo
sa il diavolo” e anche le volte in cui ha scritto “che il diavolo lo porti!” se
volete saper quante sono, leggetevi il libro.
Comunque da pag 124 fino a pagina 548 sono 36.
Mi sono segnata anche delle espressioni che si usavano negli anni trenta del
secolo 1900, ve le riporto in caso dovessero tornavi utili.
- Sì, mio nonno in carriola!
- Rincoglionito
- Signor Sparaballe
- Astuta bagascia
- Capiva d’aver fatto una cappellata
- Stava passeggiando pensando ai casi suoi
Segnalo inoltre un nome femminile in voga ai tempi, nel caso foste indecisi sul
nome da dare alla vostra prossima nascitura. Il nome è Minkina, a me fa ridere,
abbastanza.
Una storia come mai ne avevo letto finora, una rivalutazione sull’idea comune
del male, un libro che si conclude con la convinzione da parte del lettore che
non si può scendere a patti con la luna piena quando comincia a illuminare
Mosca.
Ma non solo Mosca.
Ammettiamolo.
Non siamo poi forse tutti vittime della luna piena?
Titolo: “Mo
Mama”
Autore: Paolo Nori
Edito: Chiare Lettere
Numero pagine: 217
Mese: Maggio 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: a parte che Nori è sempre Nori, le
elezioni europee.
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Che c’è stata una confusione, che c’è una confusione di ‘stì tempi, in Italia.
Che tanti sembrano ammaliati da uno che riempie le piazze e urla Vergogna e
dice che è stufo e gli piace molto la parola Vaffanculo e grazie al piffero.
Che però chissà come e chissà perché riempire le riempie le piazze, e i
giovani, tanti giovani dicono che c’è questo pentapartito che per usare
un’espressione da giovani è una figata, che però chissàcome e chissàperchè
andare su nel governo della Italia e della Europa non ce la fa mai, che dicono
quelli pentapartitici è tutta una questione di complotto, e io se mi metto nei
panni di uno che segue un altro che gli piace urlare quando ci ha da dire
quello che pensa, mettendomi in quella testa lì secondo un processo d’immedesimazione,
allora non posso che trovarmi d’accordo, tutto è marcio tutto fa schifo tutto è
una vergogna tutto è un complotto.
Che tutto è marcio e tutto fa schifo e tutto è un complotto e tutti devono
andare a casa, anche il sindaco di Parma, che è il primo sindaco pentapartitico
di Parma che l’ha messa nel culo a tutti e ha fatto partire per fare un esempio
l’inceneritore come aveva promesso di NON fare, come tutti i politici –come
dicono i pentapartitici- che promettono le cose e poi fanno tutto il contrario.
Questa cosa del sindaco pentapartitico di Parma io l’ho letta in questo libro
che mi è piaciuto molto, il libro si chiama MO
MAMA sottotitolo da chi vogliamo
essere governati? Scritto da Paolo Nori. E’ un libro che parla della politica di Parma, dopo che è salito al
trono uno dei capi dei Stufi marci Tutti a casa Vaffanculo e via a discorrere
col discorso della Vergogna.
Mi piace perché è un libro scritto da uno che non avrebbe mica tanta voglia, di
scrivere un libro sulla politica.
Che più parlare di politica, parla del grado di gentilezza con cui sarebbe
il caso di rapportarsi quando si ha a che fare con gli altri.
Che per me è una cosa bellissima da dire quasi sottovoce senza il bisogno di
urlare troppo.
Va beh.
Lui di politica –quando dico lui, dico Nori- è un po’ impreparato, è un po’ arrugginito, un po’ ingenuo,
lo dice lui questo, però riesce a fare un sacco di considerazioni in merito di
quelle che ti fanno fare sì con la testa, come a dire sarai pure impreparato,
arrugginito e ingenuo ma mica scemo.
E finché parla di politica, in particolare della politica di Parma che però a
ben vedere si potrebbe rapportare alla politica della Italia di questo storico
momento, infila dentro tutta una serie di divagazioni che sembrano lì per lì
centrano nulla e invece no, che la politica mica è solo una cosa che si fa
quando si va a votare.
Adesso io, così vi fate un’idea magari, vi riporto passo-passo quello che
intendo quando dico che questo libro va letto.
“(…) la mia idea era che avessero fatto
poco, non niente, poco, che era peggio, di niente, che se avessero fatto niente
sarebbe stato, in un certo senso, un governo artistico, come 4,33 di John Cage,
un pezzo di musica che dura 4 minuti e 33 secondi che sono 44 minuti e 33
secondi di silenzio, e sarebbe stata una cosa fantastica, il niente, come
quando non c’è niente da dire, o quando non si sa cosa dire, o quando non si sa
cosa fare, o quando non si vede niente, o quando non si capisce niente, o
quando non si sente niente, o quando non si riesce a dormire, o quando non si
vuole mangiare, come le scene mute, come le fotografie senza pellicola, come le
macchine che restano senza benzina, i sans papier, i sanculotti, i frigo vuoti,
i film muti, i buchi neri, la menopausa, le notti in bianco, quando si cerca in
tutte le tasche e non c’è neanche una sigaretta, i digiuni, gli anestetici, gli
astemi, gli anoressici, gli scioperi, le pianure, le steppe, i deserti, la
siccità, la crisi energetica, i black-out, le amnesie, gli annulli filatelici,
la crescita zero, le tinte unite, la calvizie, le sterilità, il celibato e il
nubilato, l’inappetenza e l’incontinenza, il buio, il silenzio, il niente, il
nulla, sarebbe stato bellissimo al governo, invece loro, quelli del MoVimento 5
Stelle, qual cosina l’han fatta, secondo me non sono stati ne caldi ne freddi,
sono stati tiepidi (…)”
Però adesso a pensarci, forse, era più bello scrivervi
questa:
“Una volta ho sentito dire per radio che
a Arrigo Sacchi, che come si sa è un allenatore di calcio romagnolo, una volta
gli avevan proposto di allenare una squadra spagnola che si chiamava, se non
ricordo male, Atlètico Madrid, e l’attaccante più forte dell’Atlètico Madrid
era all’epoca un giovane di calcio italiano che si chiamava Bobo Vieri, e prima
di accettare e di firmare un contratto che lo legava all’Atlètico Madrid per un
numero imprecisato di annualità, avevan detto per radio (cioè forse le
annualità le avevano dette, sono io che non me le ricordo), Arrigo Sacchi prima
di accettare aveva telefonato a Bobo Vieri e gli aveva detto Bobo, mi hanno
chiesto di allenare l’Atlètico Madrid per un numero imprecisato di annualità,
io non gli ho ancora dato una risposta perché sono disposto a accettare solo a
una condizione, che tu mi dia la tua parola d’onore che alla fine dell’anno
resterai ancora all’Atlètico Madri, e avevan detto che Bobo Vieri gli aveva
risposto Sì mister, le do la mia parola d’onore, che i calciatori mi sembra che
facciano così, che gli allenatori loro non li chiamano con il nome di battesimo
e neanche con il cognome, li chiamano mister,
Allora Sacchi, avevan detto per radio, aveva firmato il contratto che lo legava
all’Atlètico Madrid per un numero imprecisato di annualità e poi era andato in
vacanza, nel suo mondo senza lavoro, come io a Viareggio, e Sacchi presumo sarà
andato in Romagna, nella sua Fusignano, o lì vicino in Riviera quando, un bel
giorno, compra la Gazzetta dello Sport, titolo a nove colonne: Bobo Vieri
all’Inter (o alla Juventus, o alla Lazio, non mi ricordo a quale squadra. E non
ha tanta importanza).
Allora Sacchi cosa fa, avevan detto per radio, prende il cellulare, telefona a
Bobo Vieri gli dice Bobo, ma è vero che vai all’Inter, o alla Juventus, o alla
Lazio, o non mi ricordo a quale squadra non ha importanza?
Sì mister, gli dice Vieri, è vero.
Scusa Bobo, gli dice Sacchi, ma tu mi avevi dato la tua parola d’onore che
restavi all’Atlètico Madrid.
Eh mister, gli dice Vieri, va bene ritiro la mia parola d’onore.
Ecco questa storia io l’ho sentita per radio, la riferisco come l’ho sentita, o
meglio, come me la ricordo, e, ammesso che sia vera, l’impressione che ho è
che, nella testa di Vieri, Le do la mia parola d’onore volesse dire una cosa
completamente diversa da quella che voleva dire nella testa di Arrigo Sacchi,
così come, probabilmente,, nella testa del sindaco di Sfido chiunque, e
probabilmente anche Troveremo sicuramente, vogliono dire una cosa completamente
diversa da quello che voglio dire nella mia, di testa.”
Finisco dicendo continuando a dire che Nori Paolo io per me
è il mio scrittore italiano preferito, perché invece di leggerlo sembra di parlarci
insieme.
Lo amo molto, perché quando sente qualcuno che per strada dice Oh deficiente! Lui
si gira sempre convinto che lo stanno chiamando, e questo lo dice lui, mica io.
Titolo:
“Soffocare”
Autore: Chuck Palahniuk
Edito: Mondadori
Numero pagine: 265
Mese: Aprile 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: aver perso la testa per l’autore dopo “Fight
Club”
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Un inizio davvero accattivante, questo di Soffocare.
Che parte dall’infanzia veloce di un figlio di una madre scentrata.
Un bambino che cresce, si iscrive a medicina, e si ritrova a stantuffare con
una carcerata in permesso d’uscita in uno stabile dove tutte le leggende metropolitane
esistono per davvero.
Questo stabile per la precisione è popolato da: la donna che fa i pompini al
suo ragazzo mentre guida e lui perde il controllo la macchina frena bruscamente
e lei glielo trancia a metà coi denti, gente che si dirige al pronto soccorso
perché dice d’esser inciampata cadendo accidentalmente -vi lascio immaginare
come- su zucchine, lampadine, Barbie, colli di bottiglia, palle da biliardo,
criceti agitatissimi, stecche da biliardo, topolini di peluche, flaconi di
shampoo, candele, mazze da baseball, uova sode, torce elettriche, cacciaviti,
uomini che restano bloccati nel bocchettone della vasca idromassaggio.
Dalla ragazza pompon che si fa fare la lavanda gastrica e le trovano dentro
quasi mezzo litro di sperma, il ragazzo che al cinema infila il cazzo nel buco
ritagliato sul fondo di un secchio di pop-corn, la tizia che fa le acrobazie
sulla leva del cambio, il tizio che si è introdotto di nascosto in una clinica
con un camice bianco e si è messo a fare visite ginecologiche, quello che
quando va in motel resta di proposito nudo sopra le lenzuola fingendo di
dormire finché non entra la cameriera, il signore mutilato vi lascio immaginare
dove dalla mungitrice automatica, il ragazzo che spalma il suo sperma sui lembi
delle buste.
Quelli che tolgono la fodera interna del costume da bagno per mettere in risalto
gli attributi, i vecchi sporcaccioni, i maniaci dei cessi pubblici.
Loro si ritrovano tutti qui, in carne e malattia.
Ma la vera storia non è nemmeno questa.
La storia è quella di Victor, e Victor è il nome delprotagonista, che ha una mamma scentrata da mantenere in una
casa di cura da 3000 dollari al mese, e che per mantenerla le studia tutte,
come ad esempio soffocare nei
ristoranti.
Ma la vera storia forse non è nemmeno questa.
La storia è che Victor nella clinica conosce una dottoressa che le dice Senti
qua che ho la soluzione: stantuffiamo, facciamo un bimbo, gli trapiantiamo il
cervello e poi lo ficchiamo nel cranio di tua mamma.
Ma la vera storia forse non è nemmeno questa.
La storia è che Victor scopre d’esser stato concepito per mezzo di un prepuzio
rubato da sua madre, un prepuzio che però mica è un prepuzio normale, ma uno di
quelli che ti raccomando.
E quando il protagonista viene a saperlo, comincia ad agire ponendosi una
domanda.
La domanda è: Cos’è che Gesù non farebbe? E in base a questa domanda, comincia
proprio a far quello.
Ma la vera storia forse non è nemmeno questa.
La storia è che Victor si ritrova a convivere con Denny e Denny è uno che
colleziona pietre, e che ne colleziona una al giorno, per un motivo preciso.
Ma la vera storia forse non è nemmeno questa.
La vera storia, è che tutto diventa una bugia quando intorno a noi, tutti sono
pazzi.
Pazzi non è la parola giusta.
Ma è la prima che mi viene in mente.
Titolo:
“Bassotuba non c’è”
Autore: Paolo Nori
Edito: Feltrinelli
Numero pagine: 171
Mese: Marzo 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: non lo so se si è capito bene, che Nori è
il mio preferito.
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Questa è la storia di uno che nella testa ci ha delle vocine che gli dicono che
è una merda.
Ma anche di uno che ha una segreteria telefonica e un giorno, ci trova dentro
un messaggio registrato che gli dice Ciao Learco, indovina chi sono? Facciamo
così, se indovini mi chiami, ok?
Ma anche si parla di uno scrittore russo che dormiva nei cimiteri, e di un
altro scrittore russo che dicono l’ultima parola ha detto prima di morire è
stata Champagne!
Però di più è la storia di uno che parla col suo angelo, e il suo angelo si
chiama Karmelo con la K.
Che poi è un angelo che si è mangiato mille angeli, e all’occorrenza ne caccia
fuori uno:
L’angelo del Tormento, quello della Persecuzione, quello dell’Ira, quello della
Riconoscenza e quello della Colpa, uno della Disgrazia, un altro
dell’Intuizione, uno dell’Incredulità, quello della Croce, uno dei Mari e uno
dei Monti, quello della Conoscenza, quello della Croce e dei Venti; uno del
Riscatto, uno del Segreto, uno della Combutta, uno del Mormorio; uno del Mistero,
uno della Fine del Mondo, uno delle Tre Dimensioni, persino uno dello Spazio e
del Tempo; quello della Grazia, quello della Speranza, quello del Decoro,
eppure quello della Catastrofe; uno dell’Ultimatum e uno del Giudizio; caccia
fuori quello dello Sfinimento, quello della Devastazione, e uno
dell’Apocalisse, e anche quello Che Non Se Ne Può Più; quello che per Parlarci
Insieme Ci Vuole un’Enorme Forza Morale, quello che a Parlare Ci vuole Tre
Volte Di Più Del Tempo Necessario; l’angelo dei Talenti, delle Sentenze, della
Rivelazione, della Delibera, del Come stai, del Ti saluto; quello delle
Chiacchiere, del Piacere, del Giù di Morale; quello del Bentornato, quello del
Chepiaceresentirti, quello del Ci siamo; uno della Scaramanzia, uno che Scopre
i Talenti, uno del Lostiamoleggendo; quello Origliante, quello Altrochequello,
quello Professionale, quello del Guainvista, quello del Regolamanto;
non per ultimo e per ordine, quello del Contentissimo.
La storia finisce col male del secolo, con Bassotuba che non c’è, e uno che non
è Karmelo e che non va al cinema.
Titolo: “Cento Strappi”
Autore: Liesl Jobson
Edito: Marcos y Marcos
Numero pagine: 250
Mese: Marzo 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: la curiosità di capire come infilare 100
racconti in 250 pagine
RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.
Che a volte io mi dico non mi serve altro se non concedermi il ritiro senile
nella casa in montagna chiusa dai boschi, senza i telefoni che suonano, la
gente che si agita, la stufa che scoppietta, la gola che si libera dal catarro,
la pioggia che picchia fuori contro il vetro, la radio che suona dentro nei muri, il
profumo del tastasal che sfrisza nella teggia, mio moroso e un libro.
Però, per andare nella montagna, lì per il discorso che c’è mio moroso, c’è da
fare una selezione sullibro da
portare, ci ha de essere qualcosa di veloce e scorrevole, qualcosa che puoi
interrompere con facilità per un bacio, non è che quando sei nella montagna con
qualcuno (e quel qualcuno specialmente è il tuo moroso) puoi permetterti di
dire ‘Speta n’attimo che arrivo alla fine del capitolo e poi arrivo, i capitoli
ci hanno da essere magri, per questo a Marzo, mi sono portata in ritiro senile Cento Strappi, che Cento Strappi si chiama CentoStrappi mica per niente, e mica per
niente sulla copertina c’è l’immagine di un rotolo di carta igienica, sono
cento storie scritte veloci come uno strappo.
Una sera, meno di un mese fa’, sono stata alla presentazione di un libro.
L’autore di questo libro, ha detto che prima di pubblicare il libro che stava
presentando, aveva proposto al suo editore un'altra storia, ma che l’editore
gli ha risposto No non te lo pubblico che la gente disgrazie ci ha già le sue,
e l’ultima cosa di cui ha bisogno sono le disgrazie degli altri.
Il che è discutibile, ma per Cento
Strappi direi che come definizione calza a pennello e non fa una virgola.
Ora io è certo, non sono un’inguaribile ottimista, non faccio parte di quelle
persone che dicono La vita ti fa il sorriso se gli faiil solletico, ma casso, qua ghè na
tragedia drio l’altra, e ecco, non son nean ai passi de esaltarme per ste robe
qui.
Dire Non mi è piaciuto, è troppo vago.
Per cui ora mi dilungherò dicendo che Non mi è piaciuto affatto.
Tutto finisce col scivolarti addosso lasciandoti sulla pelle nemmeno un’umida
traccia di bava di lumaca e la sensazione che ho percepito alla fine di ogni
storia, è stata simile a quella di come quando le orecchie prendono a
fischiarti dal nulla, e dal niente d’improvviso, tornano a liberarsi dal
fastidio