venerdì 5 dicembre 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n67 "CATTEDRALE" R.Carver




Titolo: Cattedrale
Autore: Raymond Carver
Edito: Minimum Fax
Numero Pagine: 229
Mese: Settembre 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: voler vedere come vede un cieco.

RECENSIONE e OPINIONI dI DUBBIA UTILITà.

Carver è uno di quei scrittori che se hai voglia di leggere, sa come tenerti compagnia e se hai voglia d’imparare a scrivere è capace di darti grandi insegnamenti, sempre a patto che tu non lo voglia sfidare perché é irraggiungibile; un po’ come se decidi la sera dopo lavoro di andare a correre, e competere con Bolt.

Questo, è quello che penso su Carver, in generale dico, non parlando di un suo libro in particolare.

Parlando invece di “Cattedrale” allora posso spingermi ben oltre.
Se scrivere ti piace scrivere, competere con un capolavoro simile, sarebbe come lanciare una sfida al Caravaggio con in mano solo una scatola da sei di pennarelli marca Carioca (di cui tre completamente scarichi).

Ma noi siamo per lo più lettori, giusto? Quindi le sfide lasciamole alla signor De Filippi Maria e al suo branco di ragazzini per la metà esaltati e per l’altra metà viziati.

Cosa spacca di più i calcagni in “Cattedrale”?
Beh, posso dire cosa ribalta più le viscere a me (in senso buono, è chiaro).
I dettagli.
E’ incredibile come un singolo dettaglio accennato di tanto in tanto un po’ qua e un po’ là per il racconto, continui ad essere la tua ossessione fino all’ultima pagina che mette (quasi) la parola “fine” al tutto.
Dico quasi tra parentesi e fine tra virgolette perché Carver la parola fine non la mette mai, ognuno deve farsene quello che vuole, del finale, come è bello che sia altrimenti non sarebbe el caro vecio Carver e noi non saremo trattati da persone intelligenti. E’ un bell’atto di coraggio, quello che fa lo scrittore. Dico quello di trattarci da intelligenti senza nemmeno conoscerci.

Sono racconti carichi come posso dire? Di energia emotiva, un energia al contempo calma, e profonda, e passionale, e intensa. Come posso usare un’immagine senza ricorrere a troppe parole? Ecco, forse ce l’ho: i suoi racconti sono come un soffio d’aria calda sulla carta.




giovedì 2 ottobre 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n66 "LA PIù GRANDE BALENA MORTA DELLA LOMBARDIA" A.Nove


Titolo: “La Più Grande Balena Morta della Lombardia”
Autore: Aldo Nove
Edito: Einaudi
Numero pagine: 182
Mese: Settembre 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: se ci avete pazienza, lo spiego sotto.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà

Se uno mi chiede com’è che mi piace Nove, io c’ho le mie motivazioni.
I suoi, sono racconti che puoi leggere mentre aspetti il bus, o nell’attesa che si raffreddi il caffè, o quando ti arriva un messaggio sul cellulare con scritto “due minuti e arrivo”, o ancora finché aspetti che la lavatrice ultimi il risciacquo per poi stendere i panni, o mentre soffrigge la cipolla per il sugo, o negli ultimi istanti che dividono casa tua dal lavoro, o nell’attimo che separa la veglia al sonno.
Cose così.

Ma mi piace Nove anche perché in un solo piccolo e striminzito libro, è capace di tirare fuori un sacco di cose che altri scrittori, io secondo me altri scrittori manco gli passano minimamente per la testa.

Come i Ricchi e Poveri che si trasformano in mostri, un nonno classe 900 che il gabinetto non ce l’ha ma ha un orto dove l’odore della cacca e del rosmarino si confondono con quello del mirto, o Maria che guarda le telenovele coi brividi, e una nonna che fa il caffè latte finto con la miscela Leone.
Un bambino che vede per la prima volta un giornalino pornografico e gli prende il batticuore come quando andava in bicicletta al Roncolino in salita, e della gente di Viggiù che nessuno va a trovarla mai ne da viva ne da morta.
O un altro bambino, che riceve una notizia mentre la maestra gli dice di chiudere bene i tappi dei Carioca, o un gatto così brutto che se era una trasmissione lo toglievano, o una festa che i grandi non vogliono mai dare perché bisogna lavorare.
Oppure un ragazzo convinto che un giorno la musica distruggerà le fabbriche, e un posto che si chiama Cottolengo dove si vedono delle cose che non si vedono in Giappone in Africa o in India, o una strada che contiene un maniaco.
Ma anche un calciatore, che è entrato in una gioielleria e per scherzo ha detto “sono un ladro!” ma il gioielliere gli ha sparato per davvero, o un altro bambino orfano di padre che gli chiedono a scuola di fare un tema sul lavoro del suo babbo.
I negozi dei vecchi, e i robot giocattolo che escono dalle proprie scatole si tolgono il prezzo e vanno a marciare verso il comune di Viggiù.
O anche un barattolo di Nutella truccato con una cosa verde, le figurine incollate con la coccoina, dei dischi rovinati che han dei poteri ipnotici.
Ne La più grande balena morta della Lombardia, ti spiegano che il giornale “Cronaca Vera” c’è da prenderlo sul serio.
Ci sono gli 8 senza verde, il momento storico in cui la tv è diventata a colori, le tante cose che ci sono alla fine di Diabolik, una casa di terracotta per i nani più bella di una casa per le persone di carne.
C’è la consapevolezza di un bambino d’essere diventato anziano e alla fine pure una riflessione sulla guerra che è questa:
“alla fine delle guerre nei veri documentari della tele si vede che è tutto distrutto, allora potevano fare a meno di costruire le case, di fare le città che poi con le guerre sono tutte da rifare, e anche le persone bisogna darne nascere di nuove.”

Ora, quanto ci avete messo a leggere tutto quello che ho scritto, ammesso abbiate letto tutto ma veramente tutto quello che ho scritto?
Un po’ eh?
Leggere come scrive Aldo Nove ci metterete sicuramente meno, garantito.

Concludo dicendo che ho scoperto esistono delle matite che le vorrei parecchio.
Si chiamano matite marca “SPROUT” ma siccome costano tanto e non posso comprarmele, chi vuole regalarmele è libero di farlo grazie gli vorrò molto bene.



mercoledì 1 ottobre 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n65 "UNA BANDA D'IDIOTI" J.K. Toole


Titolo: “Una Banda d’Idioti”
Autore: John Kennedy Toole
Edito: Marcos y Marcos
Numero pagine: 459
Mese: Luglio -Agosto 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: la comune presunzione nei confronti della gente.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà

Una mia buona amica, sostiene che un valido motivo per comprare i libri, è fidarsi dei titoli. A me “Una Banda d’Idioti” è andato subito all’occhio per questo.

Ignatius, è il protagonista di questo romanzo, ma non solo, è un tipo diciamo “particolare”.
Ad esempio, tira di quei rutti che dal rumore che fanno, sembrano distruggerli l’intero apparato digestivo; porta al polso un orologio di Topolino con le mani inguantate che fungono da lancette, indossa (parlo ancora di Ignatius) una sciarpa che volendo può portare a uso scialle,  o trasformarla in cintura, fusciacca, mantello, kilt, sostegno per un braccio rotto, fazzoletto.
Ha due grossi baffi spesso “ipastrocè” di cibo e sulla testa, un berretto da caccia completo di paraorecchie; e una madre, che dal momento in cui comincia ad avercela con lui, decide di non comprargli più il Dr Nut.
Ignatius è impertinente, insolente, antipatico, scostante, ipocondriaco, paranoico, un ballista di prima categoria con sempre una scusa pronta ed un insulto in canna, è catastrofico (scendere dal letto potrebbe rivelarsi un gran pericolo per il suo osso del collo, il tarso e il metatarso) si fa odiare da tutti tranne che dal lettore, o almeno, così fino a buona parte del libro.

Per un breve, brevissimo periodo diventa un rivoluzionario mettendosi alla guida di una “protesta operaia” e quando metto le parole tra le virgolette, intendo dirvi di prendere quest’espressione con le pinze; e quando dico breve, intendo breve sul serio, che Ignatius pare uno non molto portato per i progetti a lungo termine.
Poi sceglie di vendere hot dog, così giusto per non finire in galera, e lo fa a modo suo portando ad esempio il baracchino in mezzo a delle signore per bene riunite a una mostra. E sul baracchino incolla un foglio di quaderno con su scritto “TRENTA CENTIMETRI (30) DI PARADISO”.
Ignatius se ne va in giro in cerca della svolta della propria vita e inconsapevolmente si ritrova coinvolto in un giallo.
Si trova coinvolto ma non se ne accorge, né mai se ne renderà conto perché troppo impegnato a intrattenere una fitta e megalomane corrispondenza con la ex morosa fatta di scambi d’insulti, esagerazioni e progetti terroristici a cavallo tra l’utopia e la fantasia.

Da un certo in poi della storia, Ignatius diventa come una sorta di macchietta del Don Chisciotte, e se si pensa che già di per sé Don Chisciotte lo è, si capisce dove comincia il limite dell’esagerazione.
Quindi poi basta, Ignatius ha cominciato a diventare antipatico pure a me che l’ho sempre difeso dalla ciurma di personaggi pittoreschi che animano il libro.
E’ diventato un po’ come quei comici da tv, di quelli che all’inizio ti fan sbellicare dalle risate ma poi a furia di vederli, finisci col non sopportare, di quelli che a furia di sentirli arrivano al punto di urtarti i nervi.
Questo fastidio credo d’averlo provato a circa 2/3 del libro.
Il che mi fa pensare al fatto, che se fosse finito prima, sarebbe rientrato nella lista dei miei libri preferiti.
Una Banda d’Idioti non guadagna nessuna posizione forse proprio a causa della pesantezza che arriva a raggiungere quando avrebbe potuto evitare di farlo, il che è un gran peccato perché una New Orleans con questi colori a me è piaciuta parecchio.

Il finale, oggettivamente, è degno di nota, un finale di quelli che non ti aspetti, una pazzesca fuga d’amore, un insolito happy end di quelli che in mezzo a tante (forse troppe) serie di sfortune e desgrassie male non stona, anzi, forse aiuta.

Aggiungo una curiosità che a me ha fatto tenerezza, circa la pubblicazione di questo romanzo.
J.K.Toole si è asfissiato col tubo del gas, dentro alla propria automobile.
Ovviamente, non è questa la curiosità che mi ha fatto tenerezza ma un’altra.
Dopo la sua morte, la madre ritrova tra le scartoffie del figlio questo manoscritto e comincia a tempestare di telefonate un editore.
E quando l’editore ha chiesto alla signora perché mai avrebbe dovuto leggerlo, lei le ha risposto “Perché è un grande romanzo”.
Un romanzo in cui la figura materna viene disprezzata all’ennesima potenza, ma che guadagna il successo grazie alla fiducia di una madre che sfida il dolore perché quello stesso romanzo possa capitare sotto gli occhi di tutti.
Sembra paradossale, ma è andata esattamente così.



domenica 31 agosto 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n 64 "L'Uomo che Amava le Donne" F.Truffaut


Titolo: “L’Uomo cha Amava le Donne”
Autore: Francois Truffaut
Edito: Tascabili Marsilio
Numero pagine: 94
Mese: Giugno 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: il mio insegnante di scrittura creativa.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Ora.
Senza cadere in facili buonismi e in irritanti ruffianaggini ma limitandosi semplicemente ad un fatto di oggettiva riconoscenza, devo ammettere che personalmente devo molto al mio insegnante di scrittura creativa.
Il nostro è stato un idilliaco rapporto fatto di odio e amore, dove io non apprezzavo molto il suo pompante ego e narcisismo, ma al contempo, rimanevo ammaliata ogni volta che apriva bocca su un tema letterario, o davanti alle dritte dirette ed efficaci che era capace d’inculcare nella mia testa in maniera semplice ed immediata, non cadendo mai nel banale.
Sui motivi invece per cui lui amasse e al contempo odiasse la mia persona non intendo far cenno, sostanzialmente per il fatto che non ha nessuna rilevanza.

Il mio insegnante, ci andava pazzo, per Truffaut.
Io prima di Giugno, prima de L’Uomo che Amava le Donne, non avevo mai letto nulla di Truffaut.
Questo per un errore di pregiudizio, non certo nei confronti del mio insegnante ma in quello degli artisti francesi.
Truffaut ce l’aveva sempre sulla bocca, il mio insegnante, e ho conosciuto più l’artifizio della sua penna che della sua cinepresa.
Non mancavano termini di paragone ed esercizi di scrittura dettati dalla combinazione della mano del francese e dalla mente del mio insegnante.
E quando in aula venivano letti estratti di questo scrittore pensavo et voilà ecchici a la sagra dell’orgoglio pavone.
Non lo nascondo, pensavo esattamente a questo.
Un narciso che leggeva cose di un vanesio, pensavo Vaccassalaputtanassa potrò mai sopravvivere a tutte questo? Dove sono la mia birra e il mio panino con la mortadella?

Poi sopravvivevo e mi sembrava pure di migliorare, visto che stiamo facendo i sinceri. O per lo meno, mi si aprivano nuovi orizzonti.

Però il mio primo libro di Truffaut l’ho comprato a distanza di due o tre anni dal corso di scrittura eh?!
Che magari sì, gli estratti la mente me l’avevano aperta, ma mi pareva sempre che ci avevo da leggere altro, prima di Truffaut. Ognuno ha le proprie esigenze, inutile star qui tanto a sindacar, giusto?

Va beh.
Sono andata in libreria che avevo lo sconto nella tessera da usare.
(5euro di sconto)
Io quando entro nelle librerie è meglio che non ci entro perché finisce sempre faccio malanni, ormai mi sa che a casa ho più libri da leggere di libri che ho già letto.
C’ho pure dei doppi, tanto per far capire quanto male sono messa.
Mi parte l’embolo, quando sono là dentro, come a certi parte quando entrano in un negozio di vestiti, o in una ferramenta.
Allora, siccome avevo lo sconto (ben 5 euro di sconto)  e a casa un sacco di libri nuovi da leggere, mi è sembrato logico andare a spendere un pochi di soldi, che quando mai mi ricapita nella vita di avere 5 euro di sconto?
E’ stato in quel momento di mania compulsiva, che ho visto sullo scaffale L’Uomo che Amava le Donne. L’uomo che amava le donne, è il titolo di un libro, non una persona.
O meglio, nel libro è una persona, ma sullo scaffale era un libro. Ci tengo a precisarlo che il mondo è pieno di pignoli e magari qualcuno era già lì, pronto a immaginarsi una specie di maniaco che si nascondeva tra i ripiani.

Quindi, ho posato a terra la pila di 8 libri che avevo nelle mani, e ho aperto quello di Truffaut.
Dove l’ho aperto cominciava così “Nulla assomiglia a un funerale più di un altro funerale.” E niente, me son subito ciapà ben.
Ho chiuso un occhio sul fatto che fosse impaginato di merda, sempre per via del fatto che avevo lo sconto, credo.

In questo romanzo, i protagonisti trombano ma continuano a darsi del lei. Il perché non lo so. Uno può pensare perché è ambientato nel 1200 e invece no perché siamo nel pieno della consapevolezza sessuale degli anni 1970. Non so se in Francia si usa fare così, io in Francia non sono mai stata.
Ma direi che possiamo andare anche oltre.

L’Uomo che amava le donne, è un libro dentro nel libro, anche se personalmente la storia narrante l’ho trovata più piacevole di quella battuta a macchina.
Ma è anche un gioco di specchi in cui capiamo di essere finiti dentro solo alla fine, quando nell’ultimo capitolo l’io narrante passa da un punto di vista soggettivo a uno oggettivo.

Del signor Bertrand (che è il protagonista) abbiamo pochi indizi.
Intanto, sappiamo già dall’inizio che muore, per cui credo la curiosità di scoprire come sia finito sotto terra ci spinga a procedere nella lettura.
Sappiamo che è un ingegnere.
Non ci è dato sapere il suo aspetto fisico, ed è difficile immaginarlo in quanto Truffaut ci fornisce pochi dettagli in merito, ad ogni modo Bertrand è uno che cucca alla grande. Io per rendermi la vita facile me lo sono figurato nella testa una cosa tipo Mel Gibson, giusto così, perché a me il Mel fa sangue.

Truffaut mi ha divertita, devo ammetterlo.
Ero partita male con questa convinzione di trovarmi davanti all’ennesimo francese pompato, orgoglioso e pieno di sé, o meglio, Truffaut è decisamente auto celebrativo ma riesce a non rendersi antipatico proprio grazie al suo elegante e sottile umorismo.
Esattamente come il mio insegnante di scrittura creativa.


domenica 24 agosto 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n62: "QUESTE STANZE VUOTE" Massimiliano Maestrello




Titolo: “Queste Stanze Vuote”
Autore: Massimiliano Maestrello
Edito: La Gru
Numero pagine: 215
Mese: Giugno 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: questioni d’affetto.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Quando il mio amico Mona mi ha detto Va’ che è uscito il mio libro sono stata felice per lui, come quasi ce l’avessi fatta anch’io.
Ma avevo paura a leggerlo nonostante conoscessi le sue capacità e la passione che anima la sua penna.
Dare un giudizio obiettivo a un amico è sempre difficile, ovvio non lo è quando il rapporto è costruito su un allegro mandarsi a fare in culo senza paura di piegare qualche equilibrio.

Avevo voglia di leggerlo “Queste Stanze Vuote” ma non volevo allo stesso tempo essere di parte, che se c’è un qualcosa su cui vale la pena contare è la sincerità.

Prima di avere tra le mani il suo libro, avevo deciso che per essere il più neutrale possibile, avrei adottato un metodo.
Avrei preso altri due libri dalla mia libreria, libri dello stessa grandezza e possibilmente della stessa struttura grafica, li avrei rivestiti tutti –compreso quello del Mona- con della carta da giornale e solo poi, avrei cominciato a leggerlo scegliendone uno a caso, senza sapere quale fosse il suo ma sapendo che prima o poi, avrei cominciato a leggerlo.

Ma alla fine ho pensato che insomma, ho più di 30 anni e ‘sti escamotage non servono a nulla, che tutto sommato mi piace assumermi le mie responsabilità, ma soprattutto, la voglia di cominciare a leggerlo era di gran lunga superiore a quella di darmi al decupage.

Per cui è successo questo.
Una sera ho lavorato fino a tardi, una doccia veloce e poi via che la cosa più piacevole che possiamo concederci in queste sere, in cui l estate non s azzarda ancora a soffocarti col suo caldo ma il freddo ha smesso di mordere, è stare un po' d
i tempo con gli amici.
Sono uscita con loro e ho comprato un libro, questo libro.
Sono tornata a casa per quella che per il mio orologio biologico era ora tarda, ma non ho resistito.
Prima di chiudere gli occhi ho dovuto cominciare a leggerlo, per piacere mica per obbligo.
Almeno il primo racconto su sette, mi sono detta.

Sapevo già cosa m’aspettava, e ne ho avuto la conferma: uno scrittore capace di trasformare ogni singola parola in immagine, in grado di far partire una storia in una maniera facendola capitolare in un’altra. L'abilità di tenerti incollata fino all’ultima riga, la smorfia di un sorriso intrappolata tra la risata e il dubbio.
Nel giro di pochi giorni l’ho divorato.
Queste Stanze Vuote” l’ho letto in qualsiasi ritaglio di tempo possibile,
E’ bello quando ti ritrovi ad affrontare quel genere di libri da cui non riesci a staccare gli occhi, così come è bello leggere un racconto, buttarsi per strada e avere la sensazione di riviverlo, come se quelle parole non fossero solo scritte, ma come se parlassero attraverso le esperienze che ci sfilano sotto il naso tutti i giorni.

La peculiarità, la cosa che personalmente m’ha fatto più impazzire di “Queste Stanze Vuote” è stato il doppio uso degli intenti a cui ha ricorso Maestrello.
O almeno, io l ho interpretato così, sebbene lo stile pulito dello scrittore non ti chieda lo sforzo di farlo.
Sono i personaggi che ti chiedono di prestar loro questo genere d’attenzione.
I protagonisti urlano un urlo soffocato in questi racconti: ecco quindi che ad esempio un braccio comincia a prendere la forma e lo scopo di chi se lo porta in giro, oppure una ragazza che odia la matematica basa le proprie decisioni attraverso dei calcoli e all’occasionale comparsa dei numeri pari o dei numeri dispari, e poi ancora l’orgoglio, la violenza che scatena la violenza e lascia in bocca solo il gusto della ruggine, le case che si trasformano seguendo l’inadeguatezza di uno sto d’animo, un marocchino che forse è una mosca, il rimbalzare di un pallone che segue il ritmo di un ossessione molto più fragile e profonda.

Io, che il Max lo conosco di persona, posso dirvi che a vederlo con tutta quella barba lì che si porta in giro, magari mai lo direste.
Ma basta leggere il suo libro per capire che dietro a tutto quel pelo, si nasconde una grande  sensibilità, l’educazione nel rapportarsi con la gente, l’attenzione e il rispetto necessario a non ferire la stessa sensibilità degli altri non ponendosi mai al di sopra delle parti, l’umiltà atipica dello scrittore emergente capace di farsi in disparte e di trasmettere il tutto nei suoi stessi personaggi.
Personaggi mai presuntuosi, mai sfacciati, che si presentano a noi in punta di piedi lasciando comunque l’impronta del loro passaggio da qualche parte sulla nostra pelle, proprio là dove nasce la pelle d’oca.


 Potrei dire d essere orgogliosa d avere un amico così, e lo dirò, ma non voglio sembrare di parte.

Per questo concludo dicendo che dopo aver letto questo libro, ho fatto una cosa che non mi succedeva da tempo.
L’ho chiuso e ho cominciato a leggerlo un’altra volta.
Una conclusione che forse, potrebbe bastare.



lunedì 14 luglio 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n 61 "LA SCOPA DEL SISTEMA" D.F.Wallace



Titolo: “La Scopa del Sistema”
Autore: David Foster Wallace
Edito: Einaudi
Numero pagine: 553
Mese: Giugno 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: autore consigliato da un amico


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Sebbene in apparenza questa possa sembrare una raccolta di racconti, nulla è più distante ad esserlo.
La forza de “La Scopa del Sistema” è proprio questa.

C’è la storia tra tante, di un vanitoso di secondo grado, e quella di un bambino che si lancia di continuo dai tetti per poi finire da grande a studiare arte.
C’è un uomo che ordina nove bistecche (nove - bistecche - sissignore!) e lo fa per ingrassare a tal punto da non lasciare più spazio per nessuno nell’universo.

Ci sono i tipici tramonti Clevelandiani color zucca, e c’è uno psicologo con una strana sedia e due pupille che in realtà, sono due verdi e minuscoli simboli di dollaro.
C’è un deserto artificiale e un medico che conosce la cura per non far piangere i bambini.

C’è una stanza tropicalizzata in una casa di riposo e degli anziani che scappano in gruppo, non mancano gli omogeneizzati dagli ingredienti chimici portentosi, e un tunnel sotterraneo della linea telefonica di un call center.

E c’è un uomo, che se ne va in giro con una bambola gonfiabile presentandola agli estranei come la sua compagna.
C’è un tizio, che compare nelle televendite dimostrando al pubblico dei mini aspira-polveri capaci di succhiare il sudiciume più ostinato dell’incavo dell’ombelico.
E una donna, che gira con una sciarpa al collo per un ovvio motivo di raganella.

C’è una madre separata in casa dai propri figli che atterra di botto dall’alto e nell’impatto, espelle il figlio di 8 mesi dall’utero e dall’esplosione, il figlio nasce senza gamba.
E c’è una gamba con uno scomparto segreto, al cui interno nasconde ogni tipo di droga possibile.
E un genio.

C’è un pappagallo che recita sermoni cristiani in tv, confondendo princìpi teologici con qualche discorso erotico e ci sono i mille impieghi che può avere un manico di scopa, a patto non intendiamo un manico di scopa come qualcosa di assoluto.

Ci sono Lenore senior e Lenore junior e saranno proprio loro a farci da Caronte in questo gioco di cerchi.

David Foster Wallace invece non c’è più, così ha deciso, e questo è un gran peccato.




giovedì 10 luglio 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n 60 "BUIA" M.Ferrario


Titolo: “Buia”
Autore: Matteo Ferrario
Edito: Fernandel
Numero pagine: 124
Mese: Maggio 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: aver partecipato di persona alla presentazione del libro, lasciandomi convincere dalla sensibilità dell’autore.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Una svista all’anagrafe, fa nascere Buia.
Se chiedete a Buia perché da grande vuole fare la macellaia, lei vi risponderà “per toccare la carne cruda tutte le volte che voglio” (da grande poi diventerà vegetariana, ma questo è un altro discorso).
Se le chiedete Che lavoro fa tuo padre? Lei vi risponderà “il trasportatore” il che per lei equivale ad essere la figlia di un esploratore.
Buia ha una madre che non va a prenderla a scuola, per questo Buia ha sempre con sé le chiavi e per questo è lei a cucinare “per fortuna” vi direbbe, se le chiedeste.

Buia ha una maestra con un sorriso cattivo e che probabilmente si sente simpatica quando decide d’uscirsene con frasi tipo “Buia, accendi la luce!”
Buia si chiude
nei bagni dei maschi, Buia è una specie di maschio racchiuso in un corpo da femmina, pensa che il suo è un nome di merda, non ha troppa pazienza, e a un certo punto, scopre per scherzo che gli uomini gliela leccano alle donne mica certo per punizione; che lo fanno nei film porno, ma anche nella vita reale.

E Buia possiede una dose di disincanto ben superiore a quella di parecchi adulti.

E il tempo passa.
E Buia comincerà ad indossare prima degli anfibi mezzi stracciati, dei jeans strappati e una canottiera di non si sa quale gruppo, poi un’uniforme della vigilanza privata.
Buia è stata anche una raccoglitrice di pomodori, e la sua abbronzatura malsana da muratore non nasconde nemmeno quest’esperienza.

Buia non crede nell’amore, e preferisce parlare di fronte a un uomo quando non ha un’erezione.

Buia ha delle cicatrici che iniziano appena sotto l’ombelico.

Ma non c’è solo Buia, ci sono anche una serie di pagine capaci di farti venire il fiato corto, di farti serrare i denti e sgranare le pupille e pure incazzare, come quando t’incazzi davanti a qualcosa e per tutta risposta puoi solo alzare le mani in segno d’arresa.

Come quando ti ritrovi davanti a qualcuno con una pistola, e tutto intorno diventa un’immagine in bianco e nero.
Sarà facile immaginare a questo punto Buia.
Un rivolo che scende da un lato del suo viso.
Potrà sembrarvi sudore, in un primo momento.
Convincervi possa trattarsi di una lacrima.
Ma sarà qualcosa di ancor più salato.

martedì 8 luglio 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n 59 "DISASTRI" D. Charms




Titolo: “Disastri”
Autore: Daniil Charms
Edito: Marcos y Marcos
Numero pagine: 193
Mese: Maggio 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: consigliato –indirettamente- da Paolo Nori (che l’ha pure   tradotto)


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Cari amici,
in questa (e per brevità dico solo “questa” sotto intendendo in “questa Recensione Senza Candeggio con opinioni di dubbia utilità”) parlerò di un libro e di come la minestra diventa cattiva quando ci versi dentro la sabbia.

E di come dentro a questo libro, ci sono così tanti personaggi strampalati, che ti viene da pensare che nei negozi adesso, vendere vendono dei cetrioli che forse si vede deve andare così.
E magari, ti viene davvero da pensare che esistere, esistono per davvero delle cornacchie con 4 gambe, che a dire la verità ne hanno 5, ma di questo non vale la pena parlare.

E tutto, è così insieme assurdo e divertente,
che a ben penare,
sono 3 giorni che non mangio cioccolata.

Si sappia infine che un critico russo, un giorno, ha chiesto alla seconda moglie di Charms di scrivere le sue memorie sullo scrittore.
Ma non ha potuto farlo.
“Sono passati troppi anni, non mi ricordo niente”
ha detto la seconda moglie di Charms, al critico russo.


lunedì 30 giugno 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n58: "IL MAESTRO e MARGHERITA" M. Bulgakov

Uno dei protagonisti della storia, esattamente come potremo  immmaginarlo.


Titolo: “Il Maestro e Margherita”
Autore: Michail Bulgakov
Edito: Mondadori
Numero pagine: 548
Mese: Maggio 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: nell’ultimo libro di Nori che ho letto, se ne parlava.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Cosa succede quando il diavolo decide di presentarsi per fare del bene?
Nasce Il Maestro e Margherita.

Facile rimanere affascinati da questo libro sin dalle prime pagine.
 L’impressione che ho avuto, è stata quella d’assistere alla scena di un film senza dialoghi con unica voce quella del narratore fuori campo, messa apposta lì, per darci un quadro romantico della situazione.
Lampante già dalle prime battute, la potenza di Bulgakov: quella di saper descrivere le scene sapendo abbinare il surreale al grottesco, l’eleganza all’irriverenza, la poesia alla poetica; il modo originale di mettere in luce i dettagli dei suoi personaggi; il saper combinare allegorie e simbolismi compiendo slalom sagaci per non dare troppe risposte a frasi forse non troppo celate e alla struttura del romanzo; la maestria di saper giocare con quella che ai tempi era l’ipocrisia e la mediocrità e la censura sociale; il tono colloquiale che da ritmo alla narrazione, talmente calzante da farti sentire coinvolto, nonostante a volte scivoli in una noia che fortunatamente, dura il tempo di un attimo.

Bene, ora che ho finito di fare la pigna in culo della situazione, passo oltre.
Mi sono segnata a inizio pagina le volte che l’autore ha ricorso alla frase “lo sa il diavolo” e anche le volte in cui ha scritto “che il diavolo lo porti!” se volete saper quante sono, leggetevi il libro.
Comunque da pag 124 fino a pagina 548 sono 36.

Mi sono segnata anche delle espressioni che si usavano negli anni trenta del secolo 1900, ve le riporto in caso dovessero tornavi utili.

- Sì, mio nonno in carriola!
- Rincoglionito
- Signor Sparaballe
- Astuta bagascia
- Capiva d’aver fatto una cappellata
- Stava passeggiando pensando ai casi suoi

Segnalo inoltre un nome femminile in voga ai tempi, nel caso foste indecisi sul nome da dare alla vostra prossima nascitura. Il nome è Minkina, a me fa ridere, abbastanza.

Una storia come mai ne avevo letto finora, una rivalutazione sull’idea comune del male, un libro che si conclude con la convinzione da parte del lettore che non si può scendere a patti con la luna piena quando comincia a illuminare Mosca.
Ma non solo Mosca.
Ammettiamolo.
Non siamo poi forse tutti vittime della luna piena?



giovedì 26 giugno 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n 57 "MO MAMA, da chi vogliamo essere governati?" P.Nori




Titolo: “Mo Mama”
Autore: Paolo Nori
Edito: Chiare Lettere
Numero pagine: 217
Mese: Maggio 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: a parte che Nori è sempre Nori, le elezioni europee.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Che c’è stata una confusione, che c’è una confusione di ‘stì tempi, in Italia.
Che tanti sembrano ammaliati da uno che riempie le piazze e urla Vergogna e dice che è stufo e gli piace molto la parola Vaffanculo e grazie al piffero.
Che però chissà come e chissà perché riempire le riempie le piazze, e i giovani, tanti giovani dicono che c’è questo pentapartito che per usare un’espressione da giovani è una figata, che però chissàcome e chissàperchè andare su nel governo della Italia e della Europa non ce la fa mai, che dicono quelli pentapartitici è tutta una questione di complotto, e io se mi metto nei panni di uno che segue un altro che gli piace urlare quando ci ha da dire quello che pensa, mettendomi in quella testa lì secondo un processo d’immedesimazione, allora non posso che trovarmi d’accordo, tutto è marcio tutto fa schifo tutto è una vergogna tutto è un complotto.

Che tutto è marcio e tutto fa schifo e tutto è un complotto e tutti devono andare a casa, anche il sindaco di Parma, che è il primo sindaco pentapartitico di Parma che l’ha messa nel culo a tutti e ha fatto partire per fare un esempio l’inceneritore come aveva promesso di NON fare, come tutti i politici –come dicono i pentapartitici- che promettono le cose e poi fanno tutto il contrario.

Questa cosa del sindaco pentapartitico di Parma io l’ho letta in questo libro che mi è piaciuto molto, il libro si chiama MO MAMA sottotitolo da chi vogliamo essere governati? Scritto da Paolo Nori.
E’ un libro che parla della politica di Parma, dopo che è salito al trono uno dei capi dei Stufi marci Tutti a casa Vaffanculo e via a discorrere col discorso della Vergogna.
Mi piace perché è un libro scritto da uno che non avrebbe mica tanta voglia, di scrivere un libro sulla politica.

Che più parlare di politica, parla del grado di gentilezza con cui sarebbe il caso di rapportarsi quando si ha a che fare con gli altri.
Che per me è una cosa bellissima da dire quasi sottovoce senza il bisogno di urlare troppo.

Va beh.

Lui di politica –quando dico lui, dico Nori-  è un po’ impreparato, è un po’ arrugginito, un po’ ingenuo, lo dice lui questo, però riesce a fare un sacco di considerazioni in merito di quelle che ti fanno fare sì con la testa, come a dire sarai pure impreparato, arrugginito e ingenuo ma mica scemo.

E finché parla di politica, in particolare della politica di Parma che però a ben vedere si potrebbe rapportare alla politica della Italia di questo storico momento, infila dentro tutta una serie di divagazioni che sembrano lì per lì centrano nulla e invece no, che la politica mica è solo una cosa che si fa quando si va a votare.

Adesso io, così vi fate un’idea magari, vi riporto passo-passo quello che intendo quando dico che questo libro va letto.

“(…) la mia idea era che avessero fatto poco, non niente, poco, che era peggio, di niente, che se avessero fatto niente sarebbe stato, in un certo senso, un governo artistico, come 4,33 di John Cage, un pezzo di musica che dura 4 minuti e 33 secondi che sono 44 minuti e 33 secondi di silenzio, e sarebbe stata una cosa fantastica, il niente, come quando non c’è niente da dire, o quando non si sa cosa dire, o quando non si sa cosa fare, o quando non si vede niente, o quando non si capisce niente, o quando non si sente niente, o quando non si riesce a dormire, o quando non si vuole mangiare, come le scene mute, come le fotografie senza pellicola, come le macchine che restano senza benzina, i sans papier, i sanculotti, i frigo vuoti, i film muti, i buchi neri, la menopausa, le notti in bianco, quando si cerca in tutte le tasche e non c’è neanche una sigaretta, i digiuni, gli anestetici, gli astemi, gli anoressici, gli scioperi, le pianure, le steppe, i deserti, la siccità, la crisi energetica, i black-out, le amnesie, gli annulli filatelici, la crescita zero, le tinte unite, la calvizie, le sterilità, il celibato e il nubilato, l’inappetenza e l’incontinenza, il buio, il silenzio, il niente, il nulla, sarebbe stato bellissimo al governo, invece loro, quelli del MoVimento 5 Stelle, qual cosina l’han fatta, secondo me non sono stati ne caldi ne freddi, sono stati tiepidi (…)”

Però adesso a pensarci, forse, era più bello scrivervi questa:

“Una volta ho sentito dire per radio che a Arrigo Sacchi, che come si sa è un allenatore di calcio romagnolo, una volta gli avevan proposto di allenare una squadra spagnola che si chiamava, se non ricordo male, Atlètico Madrid, e l’attaccante più forte dell’Atlètico Madrid era all’epoca un giovane di calcio italiano che si chiamava Bobo Vieri, e prima di accettare e di firmare un contratto che lo legava all’Atlètico Madrid per un numero imprecisato di annualità, avevan detto per radio (cioè forse le annualità le avevano dette, sono io che non me le ricordo), Arrigo Sacchi prima di accettare aveva telefonato a Bobo Vieri e gli aveva detto Bobo, mi hanno chiesto di allenare l’Atlètico Madrid per un numero imprecisato di annualità, io non gli ho ancora dato una risposta perché sono disposto a accettare solo a una condizione, che tu mi dia la tua parola d’onore che alla fine dell’anno resterai ancora all’Atlètico Madri, e avevan detto che Bobo Vieri gli aveva risposto Sì mister, le do la mia parola d’onore, che i calciatori mi sembra che facciano così, che gli allenatori loro non li chiamano con il nome di battesimo e neanche con il cognome, li chiamano mister,
Allora Sacchi, avevan detto per radio, aveva firmato il contratto che lo legava all’Atlètico Madrid per un numero imprecisato di annualità e poi era andato in vacanza, nel suo mondo senza lavoro, come io a Viareggio, e Sacchi presumo sarà andato in Romagna, nella sua Fusignano, o lì vicino in Riviera quando, un bel giorno, compra la Gazzetta dello Sport, titolo a nove colonne: Bobo Vieri all’Inter (o alla Juventus, o alla Lazio, non mi ricordo a quale squadra. E non ha tanta importanza).
Allora Sacchi cosa fa, avevan detto per radio, prende il cellulare, telefona a Bobo Vieri gli dice Bobo, ma è vero che vai all’Inter, o alla Juventus, o alla Lazio, o non mi ricordo a quale squadra non ha importanza?
Sì mister, gli dice Vieri, è vero.
Scusa Bobo, gli dice Sacchi, ma tu mi avevi dato la tua parola d’onore che restavi all’Atlètico Madrid.
Eh mister, gli dice Vieri, va bene ritiro la mia parola d’onore.
Ecco questa storia io l’ho sentita per radio, la riferisco come l’ho sentita, o meglio, come me la ricordo, e, ammesso che sia vera, l’impressione che ho è che, nella testa di Vieri, Le do la mia parola d’onore volesse dire una cosa completamente diversa da quella che voleva dire nella testa di Arrigo Sacchi, così come, probabilmente,, nella testa del sindaco di Sfido chiunque, e probabilmente anche Troveremo sicuramente, vogliono dire una cosa completamente diversa da quello che voglio dire nella mia, di testa.”

Finisco dicendo continuando a dire che Nori Paolo io per me è il mio scrittore italiano preferito, perché invece di leggerlo sembra di parlarci insieme.
Lo amo molto, perché quando sente qualcuno che per strada dice Oh deficiente! Lui si gira sempre convinto che lo stanno chiamando, e questo lo dice lui, mica io.

lunedì 23 giugno 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n56 "SOFFOCARE" C. Palahniuk


Titolo: “Soffocare”
Autore: Chuck Palahniuk
Edito: Mondadori
Numero pagine: 265
Mese: Aprile 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: aver perso la testa per l’autore dopo “Fight Club”


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Un inizio davvero accattivante, questo di Soffocare.
Che parte dall’infanzia veloce di un figlio di una madre scentrata.

Un bambino che cresce, si iscrive a medicina, e si ritrova a stantuffare con una carcerata in permesso d’uscita in uno stabile dove tutte le leggende metropolitane esistono per davvero.
Questo stabile per la precisione è popolato da: la donna che fa i pompini al suo ragazzo mentre guida e lui perde il controllo la macchina frena bruscamente e lei glielo trancia a metà coi denti, gente che si dirige al pronto soccorso perché dice d’esser inciampata cadendo accidentalmente -vi lascio immaginare come- su zucchine, lampadine, Barbie, colli di bottiglia, palle da biliardo, criceti agitatissimi, stecche da biliardo, topolini di peluche, flaconi di shampoo, candele, mazze da baseball, uova sode, torce elettriche, cacciaviti, uomini che restano bloccati nel bocchettone della vasca idromassaggio.
Dalla ragazza pompon che si fa fare la lavanda gastrica e le trovano dentro quasi mezzo litro di sperma, il ragazzo che al cinema infila il cazzo nel buco ritagliato sul fondo di un secchio di pop-corn, la tizia che fa le acrobazie sulla leva del cambio, il tizio che si è introdotto di nascosto in una clinica con un camice bianco e si è messo a fare visite ginecologiche, quello che quando va in motel resta di proposito nudo sopra le lenzuola fingendo di dormire finché non entra la cameriera, il signore mutilato vi lascio immaginare dove dalla mungitrice automatica, il ragazzo che spalma il suo sperma sui lembi delle buste.
Quelli che tolgono la fodera interna del costume da bagno per mettere in risalto gli attributi, i vecchi sporcaccioni, i maniaci dei cessi pubblici.
Loro si ritrovano tutti qui, in carne e malattia.

Ma la vera storia non è nemmeno questa.
La storia è quella di Victor, e Victor è il nome del  protagonista, che ha una mamma scentrata da mantenere in una casa di cura da 3000 dollari al mese, e che per mantenerla le studia tutte, come ad esempio soffocare nei ristoranti.

Ma la vera storia forse non è nemmeno questa.
La storia è che Victor nella clinica conosce una dottoressa che le dice Senti qua che ho la soluzione: stantuffiamo, facciamo un bimbo, gli trapiantiamo il cervello e poi lo ficchiamo nel cranio di tua mamma.

Ma la vera storia forse non è nemmeno questa.
La storia è che Victor scopre d’esser stato concepito per mezzo di un prepuzio rubato da sua madre, un prepuzio che però mica è un prepuzio normale, ma uno di quelli che ti raccomando.
E quando il protagonista viene a saperlo, comincia ad agire ponendosi una domanda.
La domanda è: Cos’è che Gesù non farebbe? E in base a questa domanda, comincia proprio a far quello.

Ma la vera storia forse non è nemmeno questa.
La storia è che Victor si ritrova a convivere con Denny e Denny è uno che colleziona pietre, e che ne colleziona una al giorno, per un motivo preciso.

Ma la vera storia forse non è nemmeno questa.
La vera storia, è che tutto diventa una bugia quando intorno a noi, tutti sono pazzi.
Pazzi non è la parola giusta.
Ma è la prima che mi viene in mente.




giovedì 12 giugno 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n 55 "Bassotuba non c'è" P.Nori



Titolo: “Bassotuba non c’è”
Autore: Paolo Nori
Edito: Feltrinelli
Numero pagine: 171
Mese: Marzo 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: non lo so se si è capito bene, che Nori è il mio preferito.

RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Questa è la storia di uno che nella testa ci ha delle vocine che gli dicono che è una merda.
Ma anche di uno che ha una segreteria telefonica e un giorno, ci trova dentro un messaggio registrato che gli dice Ciao Learco, indovina chi sono? Facciamo così, se indovini mi chiami, ok?
Ma anche si parla di uno scrittore russo che dormiva nei cimiteri, e di un altro scrittore russo che dicono l’ultima parola ha detto prima di morire è stata Champagne!

Però di più è la storia di uno che parla col suo angelo, e il suo angelo si chiama Karmelo con la K.
Che poi è un angelo che si è mangiato mille angeli, e all’occorrenza ne caccia fuori uno:
L’angelo del Tormento, quello della Persecuzione, quello dell’Ira, quello della Riconoscenza e quello della Colpa, uno della Disgrazia, un altro dell’Intuizione, uno dell’Incredulità, quello della Croce, uno dei Mari e uno dei Monti, quello della Conoscenza, quello della Croce e dei Venti; uno del Riscatto, uno del Segreto, uno della Combutta, uno del Mormorio; uno del Mistero, uno della Fine del Mondo, uno delle Tre Dimensioni, persino uno dello Spazio e del Tempo; quello della Grazia, quello della Speranza, quello del Decoro, eppure quello della Catastrofe; uno dell’Ultimatum e uno del Giudizio; caccia fuori quello dello Sfinimento, quello della Devastazione, e uno dell’Apocalisse, e anche quello Che Non Se Ne Può Più; quello che per Parlarci Insieme Ci Vuole un’Enorme Forza Morale, quello che a Parlare Ci vuole Tre Volte Di Più Del Tempo Necessario; l’angelo dei Talenti, delle Sentenze, della Rivelazione, della Delibera, del Come stai, del Ti saluto; quello delle Chiacchiere, del Piacere, del Giù di Morale; quello del Bentornato, quello del Chepiaceresentirti, quello del Ci siamo; uno della Scaramanzia, uno che Scopre i Talenti, uno del Lostiamoleggendo; quello Origliante, quello Altrochequello, quello Professionale, quello del Guainvista, quello del Regolamanto;
non per ultimo e per ordine, quello del Contentissimo.

La storia finisce col male del secolo, con Bassotuba che non c’è, e uno che non è Karmelo e che non va al cinema.


RECENSIONE Senza Candeggio n 54 "Cento Strappi" L.Jobson


Titolo: “Cento Strappi”
Autore: Liesl Jobson
Edito: Marcos y Marcos
Numero pagine: 250
Mese: Marzo 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: la curiosità di capire come infilare 100 racconti in 250 pagine


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Che a volte io mi dico non mi serve altro se non concedermi il ritiro senile nella casa in montagna chiusa dai boschi, senza i telefoni che suonano, la gente che si agita, la stufa che scoppietta, la gola che si libera dal catarro, la pioggia che picchia fuori contro il vetro, la radio che suona dentro nei muri, il profumo del tastasal che sfrisza nella teggia, mio moroso e un libro.
Però, per andare nella montagna, lì per il discorso che c’è mio moroso, c’è da fare una selezione sul  libro da portare, ci ha de essere qualcosa di veloce e scorrevole, qualcosa che puoi interrompere con facilità per un bacio, non è che quando sei nella montagna con qualcuno (e quel qualcuno specialmente è il tuo moroso) puoi permetterti di dire ‘Speta n’attimo che arrivo alla fine del capitolo e poi arrivo, i capitoli ci hanno da essere magri, per questo a Marzo, mi sono portata in ritiro senile Cento Strappi, che Cento Strappi si chiama Cento Strappi mica per niente, e mica per niente sulla copertina c’è l’immagine di un rotolo di carta igienica, sono cento storie scritte veloci come uno strappo.

Una sera, meno di un mese fa’, sono stata alla presentazione di un libro.
L’autore di questo libro, ha detto che prima di pubblicare il libro che stava presentando, aveva proposto al suo editore un'altra storia, ma che l’editore gli ha risposto No non te lo pubblico che la gente disgrazie ci ha già le sue, e l’ultima cosa di cui ha bisogno sono le disgrazie degli altri.
Il che è discutibile, ma per Cento Strappi direi che come definizione calza a pennello e non fa una virgola.
Ora io è certo, non sono un’inguaribile ottimista, non faccio parte di quelle persone che dicono La vita ti fa il sorriso se gli fai  il solletico, ma casso, qua ghè na tragedia drio l’altra, e ecco, non son nean ai passi de esaltarme per ste robe qui.

Dire Non mi è piaciuto, è troppo vago.
Per cui ora mi dilungherò dicendo che Non mi è piaciuto affatto.
Tutto finisce col scivolarti addosso lasciandoti sulla pelle nemmeno un’umida traccia di bava di lumaca e la sensazione che ho percepito alla fine di ogni storia, è stata simile a quella di come quando le orecchie prendono a fischiarti dal nulla, e dal niente d’improvviso, tornano a liberarsi dal fastidio


martedì 27 maggio 2014

RECENSIONE Senza Candeggio n53: "MATTATOIO N.5" K.Vonnegut



Titolo: “Mattatoio n-5 o La Crociata dei Bambini”
Autore: Kurt Vonnegut
Edito: Feltrinelli
Numero pagine: 196
Mese: Marzo 2014
Motivo che mi ha spinto alla lettura: aver letto come ha cominciato a scrivere il mio amico Davide, dopo che a sua volta ha cominciato a leggere quello che scriveva Vonnegut.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Per parlare di questo libro, è necessario fare prima un accenno storico su quella che è stata la vita di Vonnegut
Nel 1944 venne fatto prigioniero durante l’ offensiva delle Ardenne e successivamente trasferito in Germania nella città di Dresda. Qui assistette in prima persona al terribile bombardamento alleato che nel febbraio del 1945 rase al suolo la città e causò 25ooo vittime civili.
Così va la vita.
E così via.

Vonnegut si salvò poiché rinchiuso in una grotta ricavata sotto il mattatoio della città normalmente utilizzata per l'immagazzinamento della carne.
Così va la vita.
E così via.

Inquadriamo il contesto: sotto le bombe incendiarie lanciate dalla RAF durante le quattordici (14!) ore di bombardamento fra il 13 e il 14 febbraio del 1945 trovarono la morte quasi 25.000 civili, furono distrutte 24.866 case del centro su un totale di 28.410, la temperatura al suolo durante l’attacco raggiunse i 300 gradi centigradi, incendiando – letteralmente – l’ossigeno.
Così va la vita.
E così via.

Questo episodio traumatizzante, anni dopo, verrà ripercorso in chiave solo parzialmente fantascientifica nel suo romanzo più famoso, Mattatoio n.5 o La Crociata dei Bambini.
Ad un certo punto della sua vita Vonnegut sente il dovere ma soprattutto l’esigenza d’affrontare questo spettro della sua vita, e di pubblicare una storia che parli di questo.
Ma libri che parlano di guerra ce ne sono già molti in giro, alla fine degli anni 60 del 190, così decide d’affrontare il tema proponendolo al lettore sotto una chiave originale.
E la sua forza, sembrerà paradossale e assurdo, starà proprio nel nonsense.
Così va la vita.
E così via.

Quello di Vonnegut, è un punto di vista dotato di carattere, sceglie di parlare del passato facendosi rapire da un ufo, un ufo occupato dai Trafalmadoriani: esseri che vedono l’uomo “non come creature a due gambe” (ma cito) “come grandi millepiedi: con gambette da bambini a un capo e gambe da vecchi all’altro”, il che di per se la dice già lunga.
Così va la vita.
E così via.

Cinismo e rassegnazione ruotano in un girotondo impazzito assieme alla delicatezza e alla forza necessaria che serve per parlare della guerra.
E c’è il delirio che consegue il distacco, la velata tristezza che segue la follia, l’ironia che segue la cruda realtà e i nervi tesi, che scoppiano in una risata isterica.
Così va la vita.
E così via.

Pagine che vogliono farsi leggere, e si lasciano leggere con insolita leggerezza e che mi permetto di consigliare.
Un libro folle, scritto in maniera folle che parla della più grande follia dell’umanità e finisce come dovrebbe finire tutto dopo un massacro, dove tutto dovrebbe tacere, e dove infatti tutto tace, tranne gli uccellini.
E gli uccellini cosa dicono? Tutto quello che c’è da dire dopo un massacro.
Così va la vita.
E così via.