domenica 29 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n37 "ACCIAIO", Silvia Avallone




Titolo: “Acciaio”
Autore: Silvia Avallone
Edito: Rizzoli
Numero pagine: 360
Mese: Settembre
Motivo che mi ha spinto alla lettura: obiettivi masochisti.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Così, giusto per dare un ordine al blog, decido di dedicare il mese di Settembre, a titoli di libri che hanno avuto grande successo sulla bocca di tutti.
Ho deciso di farlo perché credo non sia giusto denigrarli così, per partito preso, senza prima averli letti.
Ora, visto e considerato che la mole è considerevole, visto e considerato che della gente spesso non mi fido, visto e considerato che nutro una sorta di bene nei confronti di me stessa, non escludendo l’ipotesi che può essere magari domani attraverso la strada e un tir cingolato carico di ghisa può investirmi facendomi passare a migliore -o forse peggior- vita, ho deciso di fare una scrematura.

Quindi, dal momento che in un mese ho visto riesco a leggere 2 romanzi e una raccolta di racconti, ne ho scelti tre a caso.
O meglio, mi sono fatta prestare i titoli in questione da persone che ho deciso lascerò anonime per una questione di sensibilità. La mia, sia ben inteso.

Comincio con Acciaio, della Silvia Avallone.
Ricordo d’aver visto una sua intervista alle Invasioni Barbariche, il programma della Bignardi.
E la Daria, ce ne ha fatto su un ricamo di quelli che vi raccomando.
Una scrittrice giovane e promettente, diceva, che farà strada, aggiungeva.
Con tutto che a me la Bignardi sta quasi simpatica come tutte le stronze di questo pianeta.
Con tutto che a me piace come la Bignardi riesce a mettere in difficoltà i suoi ospiti, con tutto che di lei mi fidavo, vorrei togliere ogni dubbio al lettore e dire che no, non me l’ha prestato la Bignardi Daria, questo libro, ma un’altra.

Sono partita dunque con grandi aspettative nei riguardi della Avy, ma già subito dalla prima pagina, dove c’è stampata la dedica, mi si sono piegate le ginocchia.
Io delle dediche ho la mania.
Voglio dire, quelle poche righe che gli autori fanno stampare all’inizio, lì alla prima pagina, per me sono importanti quanto la scelta del titolo, rappresentano lo scrittore, dal mio punto di vista, quello di una che non capisce un niente.
Ora, dovesse essere che una botta di fortuna mi permetta di pubblicare qualcosa di mio, ad esempio, non scriverei mai una frase da pigna in culo tipo:
“A Eleonora, Erica, Alba le mie migliori amiche.”
Non lo farei mai.
E vi dico anche il perché: parole del genere farebbero di me una frigida 30enne, ferma col cervello ai tempi dell’astuccio imbrattato di sigle tipo TVUCDB scritte con l’Uniposca.

Ma la Avy è tenace, dura a morire, non si accontenta di piegarti le ginocchia con la dedica, no, infierisce dandoti un’ulteriore mazzata sul collo col titolo del primo capitolo.

Il titolo del primo capitolo è AMICHE DEL CUORE.
Dovreste vedere come ho tappezzato il resto dello spazio lasciato intorno al titolo.
Tornate a immaginarvi l’astuccio di cui vi parlavo sopra.

Quindi, vuoi un po’ perché siamo partiti male, vuoi un po’ perché ho cominciato a imbattermi nella lettura, la prima domanda che mi sono fatta è stata: ma la Avy (e il suo correttore di bozze) le elementari le hanno finite o come mia nonna si sono fermati alla terza?

Ora io, per fare in fretta, potrei prestarvi il libro, quello che è caduto sotto la mia matita. Voi potreste sfogliare le pagine, e cercarvi tutti i punti interrogativi che ho segnato lungo il tragitto.
Sono tantissimi.
Ma dal momento che mi rendo conto fisicamente sarebbe un ardua impresa, vi riporto alcuni passaggi, e sottolineo la parola alcuni, perché voi io ve lo giuro, non potete immaginare quanti siano.
Per fare ancora più presto, ve ne riporto il meno possibile, che si sa, le disgrazie non piacciono a nessuno.

· Quello era il paradiso. L’unico veramente vero. (veramente vero forever.)
· L’amore dentro la cabina buia. Senza ragionarci, senza preservativo, e chi restava incinta e lui se la teneva, aveva vinto. (tengo precisare che ho riportato il periodo papale – papale se qualcuno me lo spiega mi fa un piacere)
· Sono indifferenziate, sono nude (ma che è? Immondizia?)
· Perché non siamo uguali? Siamo diverse, però siamo uguali. (bah.)
· Aveva uno sguardo sperso. (An o capio.)

Oh no dai, davvero, basta. Se volete il libro ve lo presto, davvero, veramente vero, ve lo presto e vediamo se la vediamo uguale però indifferenziatamente , perché so che non siamo uguali, che siamo diversi però uguali. Non guardatemi con lo sguardo sperso, vi prego- preghissimo.

Un mio amico direbbe Che miserie. Lo cito, così, per uscire dal tunnel.
Ora, appurato il fatto che su certe cose proprio non ghe semo, veniamo alla trama.

Non manca niente: zoccole e tamarri, disgrazie, soprusi e tragedie famigliari.
 Motorini truccati, macchine modificate con alettoni stile Batman, stereo a palla e gomiti fuori dai finestrini sulle note della musica house.
 La disabile ottimista in pace col mondo, la sfigata, le racchie, le mega fighe.
 I bulli a petto nudo coi ray-ban sugli occhi e  le catene d’acciaio al collo, i jeans mezzi sbottonati con l’orlo degli slip bene in vista, fighetti che lanciano sguardi feroci e gratuiti ai passanti della serie “tu non sai chi sono” e a cui le morose durano come i gatti sull’Aurelia.
Adolescenti vissuti che dicono frasi tipo “la vita mi devasta, non rompermi i coglioni levati di culo, questa è una storia davvero pesa, fly down capo”
Ragazze che sfilano tra i tavolini del bar succhiando il Calippo come porno star affermate.
C’è l’amore lesbo, e ragazzine che scrivono sui propri diari -con l’indelebile nero e la scolorina- frasi colme di punti di sospensione, scambiando i puntini sulle i con dei cuori.
Fidanzati che infilano le mani l’uno nella tasca dei jeans dell’altra e passeggiano “facendo le vasche in centro”, uscendo con frasi tipo “oh bimbi, c’ho uno sbrano!” dopo aver fumato una canna.
Che assecondano la loro fame chimica, andando a mangiare il gelato al TOPONE, chiamandolo proprio come un grosso ratto e non TOP-ONE in inglese, come l’insegna del negozio suggerisce.
Ragazze che aspirano a diventare veline di Striscia la notizia, che scatenano risse, tirandosi i capelli e dicendosi “bimba stai calmina, chi ti caca” o sfoggiano un lessico fatto di innumerevoli “cioè, praticamente”.

Qui mi fermo, sempre per quel fatto là che dicevo, che le disgrazie non piacciono a nessuno.

Mi rendo conto che questo elenco fa apparire l’intero romanzo fortemente ironico, ma ormai mi conoscete, e sapete che vuole essere esattamente il contrario.
C’è pure una storia dietro tutto questo, e la possiamo descrivere in poche righe.
Due ragazze sono amiche per la pelle, il loro sogno è andare sull’isola d’Elba, per tutto il tempo questo viaggio ci pare tutto tranne che possibile.
Poi le ragazze litigano e non sono più migliori amiche.
Dopo fanno la pace, la mamma di una le da 5 mila lire e dice “tenete ragazze, questi vi basteranno.” Le ragazze vanno al porto, prendono prima due biglietti, poi il resto, poi il traghetto, e tempo due minuti raggiungono l’isola.

Ciliegina sulla torta, il finale.
Nome e cognome della scrittrice, luogo e data della fine della stesura del romanzo.


mercoledì 18 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n36: "Storie di Ordinaria Follia", C.Bukowski


Titolo: “Storie di Ordinaria Follia –erezioni eiaculazioni esibizioni”
Autore: Charles Bukowski
Edito: Universale Economica Feltrinelli
Numero pagine: 340
Mese: Agosto
Motivo che mi ha spinto alla lettura: una litigata col moroso.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Una litigata col moroso, è corretto.
Non scenderò nei dettagli, questa è una storia che resterà tra me e i più intimi dei miei amici.
Fatto sta, che mio moroso, insomma, diciamo che mi ha fatto questo regalo, insieme a molti altri, quel giorno.

E poi siamo qui a parlare di libri, no?  Eccoci qua, pronti.

I lettori più attenti e fedeli del mio blog, ricorderanno la passata recensione, fatta a Compagno di Sbronze. (Recensione senza Candeggio n 7 ).
Pure in quell’occasione vi ho parlato di questo libro, ricordate? La bibliotecaria col tic dei capelli?
Ecco, a distanza di anni l’ho riletto, con l’occhio un po’ meno furbetto, è chiaro, di quando ero una ragazzetta. L’occhio di chi è abituato a stare in mezzo alle zozzerie, che si scandalizza con un po’ meno facilità.
Ammetto che ai tempi, Storie di Ordinaria Follia, mi aveva più scossa, forse perché i misteri del sesso non li conoscevo ancora, forse perché gli anni 90 sono stati gli anni del Postalmarket, dove due minne strette in un reggiseno di pizzo bianco e una mutanda ascellare, erano il massimo del facile e reperibile erotismo che l’editoria proponeva, forse perché venivo da una cultura pudica, scandita dalla voce del Piccolo Principe e compagnia briscola.
Questo ricordavo dai tempi in cui avevo lasciato in sospeso Storie di Ordinaria Follia.
L’impatto.

Ma ora da grande, dopo una seconda lettura, ho preso coscienza del fatto che Buk, va ben oltre.
Che i veri racconti, raccolti in questo libro e capaci di farti bagnare le mutande, sono ben altri.
Io sul podio ad esempio ci metto

· Una Calibro 9 per Pagare l’affitto
· Appunti sulla Peste
· Un Brutto Viaggio

Ora, da grande, ora, che la passione per la scrittura sono sicura cosa significa, ora, non vedo Storie di Ordinaria Follia come un elettrizzante saggio sull’erotismo.

Ora, immagino Bukowski, che gli amici –sì insomma, la gente che conosce- non lo invitano da nessuna parte perché Charles, a uscire con Charles, facile che si vanno a fare delle gran figure di merda, ciò nonostante, gli amici –sì insomma, la gente che lo conosce- gli gran lecca il culo.

E io me lo immagino, lì che se la ride mentre ciuccia un bicchiere di vino o si scola una latta di birra, in  mutande, davanti alla sua macchina da scrivere, me lo immagino che ogni tanto prende, si sposta dalla scrivania, e va a vomitare nel cestino della carta. Liquido per lo più. E allora, noi che tutti conosciamo lo sforzo del vomito liquido, lo possiamo vedere lì, Charles mica il liquido, che torna alla sua scrivania, coi suoi occhi lucidi, battere un’ultima frase che resterà incompleta e dimenticata agli occhi del nuovo giorno, tanto è più forte l’impulso di lanciarsi a collassare sul materasso.

Me lo immagino con Hemingway, a parlare delle loro fobie, con le tende tirate per la paura di essere spiati dalla CIA, parlare sotto voce, per non essere intercettati dall’FBI.
Per poi finire a discutere animatamente, prendersi a pugni e poi fare pace con un bicchiere, alla loro salute e a tutti gli stronzi che consumano ossigeno in tutto l’universo mondo.
E farsi prendere dall’enfasi, per non perdere un secondo di quanto è appena successo, immortalare il tutto.
Hem battendo ogni parola in piedi, Buk stracciando e riscrivendo fogli su fogli.
E passato l’entusiasmo, tornare ai loro bicchieri, discorrendo di ippodromi e arene.

Me lo immagino circondato da gente che reputa utile e inutile al contempo, che trova utile per scrivere ma inutile da vivere.
Me lo immagino, raccattare mozziconi di cicche dal posacenere, da sotto il letto, da sopra il lavandino, scovarle, accenderle, infilarle tra i denti di una forchetta per non bruciarsi le dita, e me lo immagino, nei periodi  in cui le vacche sono grasse, col suo sigaro, mentre il fumo si confonde con il riverbero della lampada da tavolo, e la brace che scende a bucargli i calzoni. A prendersela con Dio per questo e molto altro, prendersela con lui a piacimento, lodandolo quando la sorte gli sorride e insultarlo quando il destino gli è avverso.
A lavorare di notte, a dormire di giorno, facendo dello scrivere il suo unico lavoro,

E ci appare scorretto, grottesco, e ci fa restare col fiato corto, con la sua bocca sporca di parole e il cervello intasato d’immagini ludre. Con la sua mano pesante che ci lascia, alla fine di ogni racconto davanti al compiuto e incontestabile dato di fatto che la sua penna è frutto di grande finezza, intelligenza e sagacia.

Lo leggi e tu sei lì, tra gli straccioni ubriachi che ostentano coraggio, che narrano e non narrano avventure,  mascherati dietro al loro  sudore acido, ai denti gialli, e al filo di saliva consistente che resta teso come una corda messa giusto lì, per unire il labbro superiore a quello inferiore.
Sei lì, tra le donne con le tette e i culi grossi e la patonza pelosa, che parlano d’amore.
Sei lì, in mezzo alla nebbia dello smog della California, una cappa pesante che resta però sempre fuori dalla finestra di una sudicia stanza in affitto a ore, che prima di te, e che a sua volta, ha conosciuto come unici visitatori cimici, zecche e scarafaggi.

Lo sporco che alza lo sporco, questo è.
E non è una questione di pessimismo, di disfattismo, di cinismo, ma di oggettività.
Quando parliamo di Bukowski, non parliamo solo di sesso, di alcol, di solitudine, della società che ci circonda.
Parliamo di un occhio attento che usa come mezzo la semplicità e la bassezza, per arrivare a toccare i pezzi di un domino fatto di falsità e incertezze, capace di crollare solo davanti all’altezza del suo avido pulsare sui tasti di un’arrugginita macchina da scrivere.




lunedì 16 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n35. "LA SCHIUMA DEI GIORNI", B.Vian.



Titolo: “La Schiuma dei giorni”
Autore: Boris Vian
Edito: Marcos y Marcos
Numero pagine: 268
Mese: Agosto
Motivo che mi ha spinto alla lettura: prestato dalla mia amica Franceschì.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Da quanto tempo era che non leggevo un libro così?
Da mai, questa è la risposta.
Me l’ha prestato la mia amica Franceschì. E’ stato uno dei miei buoni propositi per il 2013, quello di circondarmi solo da persone che mi fanno stare bene. La mia amica Franceschì è una di quelle.
Se solo Boris Vian fosse ancora vivo, se solo ci conoscessimo, farebbe parte pure di lui, di questa cerchia ristretta.

Ma Vian è morto giovane e d’infarto, durante l’anteprima cinematografica del suo omonimo romanzo “Sputerò sulle vostre tombe”. (Sentitevi pure liberi d’ironizzare sul fatto)
Conosciuto per lo più in Francia e poco meno in Uk, ma non più in giro, parliamo di un genio  vissuto in sordina per troppi anni nel mondo, che ora ci lascia in eredità uno stile di scrittura unico nel suo genere, di grande carattere, capace di far sognare anche i cinici come me.
Uno scrittore, che sapeva la sua vita sarebbe stata breve, e lo sapeva non perché era uno di quei parazebedei che dice “la vita è breve, è bene scolarsela in fretta giù per il gargarozzo” no, sapeva che la sua vita sarebbe stata breve perché sapeva di essere malato. Al cuore per giunta. Fa un ché pensare che una persona con così tanta sensibilità, sia malato proprio in quell’organo lì, non trovate?
Ciò nonostante, ha vissuto fregandosene un po’ di tutto e un po’ di niente, continuando a fare ciò che più lo faceva star bene: scrivere libri, racconti, testi musicali jaaaaaaszzz, senza mai ambire all’autodistruzione, al vittimismo e tutte quelle brutte robe lì, continuando a suonare la sua tromba fino alle 4 di mattina. Andate dal vostro medico e chiedete se ai cardiopatici fa bene suonare la tromba per ore e ore.

Questo è il primo romanzo del Boris che leggo, ma letto questo, mi è presa la smania di volerli leggere tutti. Lo farò, e so che non lo mettete in dubbio.

Siamo di fronte a un romanzo colmo d’invenzioni, d’immagini brillanti e strabilianti, di metafore e neologismi, di visioni. Un surrealismo che supera e cancella la componente tragica che ombreggia sulla storia, inutile voler dire per forza il contrario.

Ne La Schiuma dei Giorni, tutto è poetico nonostante sia in prosa, tutto è assurdo, paradossale, fantasioso, tutto ciò che è presente in queste pagine è immenso, e lo senti, sei un gigante e ti stai rimpicciolendo via- via che t’avvicini lento al tragico epilogo. Prendete ciò che ho scritto alla lettera, immaginate di stare lì comodi a guardare un film a colori su un maxy schermo, e questo film più si avvicina al finale, più ve lo trovate a guardare in un vecchia tv in bianco e nero, seduti su una cassa da frutta con le schegge che vi pizzicano le natiche.

Tutto è scritto nel minimo dettaglio, tuttavia la sistemazione fisica e temporale della storia resta confusa, questo grazie a un’abile mescolanza di usi e costumi storici con elementi oserei dire visionari. Personaggi educati, che non mancano però di lanciare grandi stoccate al perbenismo, al conformismo, criticando intelligentemente a colpi di sciabola le industrie farmaceutiche, la sanità, il mondo del lavoro e la frenesia che ne consegue, che non porta a nulla, esattamente come il contrario.
Ci si fa beffa di quanto il materialismo ci regali tutto e come si sa’, niente.

La trama ho deciso non ve la racconto, tanto questa settimana esce il film.
Oh, se comincia tutto a colori e finisce in bianco e nero io da domani ho deciso che sono figa.
E poi volevo dire che sono felice d’aver letto il libro prima di aver visto il film.
Caro Gondry ci hai una bella sfida d’affrontare, a figurarmi una roba tipo così:

“Un fazzoletto di seta gialla lo pilotò nella direzione del vento e il colore del fazzoletto, strappato dal vento, andò a posarsi su un grande edificio di forma irregolare che (…)”

Ma di più a come fare una ninfea che ciucia i polmoni, e un topo suicida.





martedì 10 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n34 "Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane)" di Jerome K. Jerome

Geronimo, l'uomo che non fa ridere.



Titolo: “Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane)”
Autore: Jerome K. Jerome
Edito: Crescere Edizioni
Numero pagine: 221
Mese: Agosto
Motivo che mi ha spinto alla lettura: Tanti mi hanno detto Leggilo che fa un ridere che non se sà.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Già lo so che i più attenti mi stanno prendendo in giro per l’edizione del libro che ho scelto.
E’ che vi spiego, ero in montagna durante un fine settimana per il mio ritiro senile.
Ci ho bisogno, del mio ritiro in mezzo al nulla, almeno 3 fine settimana al mese me li devo concedere a stare lì, in mezzo al niente, nella contrada isolata dal mondo, dove ci ha la seconda casa mio moroso.

Succede in un fine settimana d’Agosto che mi accorgo d’essermi dimenticata a casa (la casa quella dove abito quando non faccio la senile, quella dove regna il caos e la frenesia) un libro per farmi compagnia.
Già lo so che qualcuno è pronto a dire Beh ma quando vai in ritirata col moroso, invece di leggere puoi mica fare all’ammmmore?
Eh, bravi solo voi.
Che siete? Macchine industriali?
Fare all’ammmore si fa, ma dopo il tempo c’è da farlo passare.
E po’ andasì in cul, io a voi mica vi faccio i conti, che spiegazioni ho da darvi?
Ma guarda questi…

Dicevo, mi accorgo d’essermi dimenticata il libro a casa.
Mio moroso mi dice Va’ che se andiamo in paese hanno fatto la libreria mobile, è lì ferma per tutta l’estate, facciamo un giro e ti prendi un libro, che dici?
Ma come si fa a non fare all’ammmore con uno così?
Allora, dopo aver fatto all’ammmore siamo andati a prendermi un libro.
Ci avevano solo le edizioni “Crescere Edizioni” (copertine fighissime eh, niente da dire).
E lì per lì ho storto un po’ il naso ma poi il prezzo mi ha fatta convinta (euro 3.90).
Pure il fatto che vendevano “Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane)” mi ha fatta convinta, che tanti mi hanno detto Leggilo che fa un ridere che non se sà.
Ah, giusto per farvi contenti, tornati a casa, nella casa senile isolata dal mondo, ve lo dico, abbiam fatto all’ammmore.
Ora, che avete la certezza che almeno due volte in un giorno l’abbiamo fatto, possiamo andare oltre?

Tre Uomini In Barca (per non parlare del cane) è la storia di 4 inetti ipocondriaci che decidono di fare un viaggio.
Lo fanno in barca, altrimenti qualcuno mi spieghi perché l’han intitolato “Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane)”.
Direte voi, se sono tre uomini in barca, perché te hai detto che sono 4?
Perché c’è anche il cane, ve l’ho già scritto.
Ohhhhhh cacchio la finite di pensare all’ammmmmore e vi concentrate sul libro per piacere?

Devo dire, che così, subito non mi ha tanto convinta. Forse perché scritto in passato remoto.
Io non so voi, ma il passato remoto lo concedo a pochi. Per me ad esempio, sta bene sugli svitati, tipo quelli che parlano da soli.
Insomma, il primo capitolo a dirla tutta anche non c’è male, è simpatico dai, ma più andavo a scorrere le pagine, più mi dicevo Ecco dai, vedrai che tra un po’ ti spanzi dalle risate come dicono tutti. E mai succedeva.
E’ brutto vivere di aspettative.

Arrivo a pagina 39 e mi dico Ecco vedrai che ho bello che capito il finale, il libro finisce che i protagonisti nemmeno partono.
Sono tutte quelle divagazioni che fa il protagonista, lì finché ci racconta la storia in prima persona, che m’inducono a pensare questo, capite?
Po’ invece tasi, che partono.
Partono ma poco ti raccontano di quel che succede, che sono troppo impegnati a discorrere sulle proprie esperienze passate, e ci tengono, che il lettore ne venga al corrente.
Divagazioni – divagazioni - divagazioni.

Vi faccio un esempio inventato di sana pianta, per darvi l’idea.
“Percorrevamo il fiume, io, Tony, Vattelappesca, e il nostro canarino. Sulla nostra destra un castello ci rincorreva coi suoi fantasmi a cavallo, poteva essere la realtà o il succo d’ananas scaduto che si ribellava nei nostri intestini. Questo mi ricorda la volta in cui, io e mio cugino, andammo a raccogliere gli ananassi in Africa….”

Eccetera eccetera, insomma, quella storia dei fantasmi a cavallo non la conosceremo mai.

Fino a che non capisci che il gioco di Jerome è proprio questo.


Vado avanti e aspetto mi si presenti davanti il punto in cui, da lì a poco, comincio a ridere come una disperata.
Arrivo addirittura a pensare Beh magari, visto che questo libro ha fatto fare signore risate a tanti, magari, ho pensato, Magari forse è vera quella cosa là che i libri vanno a periodi, che magari “non era il momento” che magari se lo leggerò un’altra volta, più avanti, magari lo farò con le mani sulla milza e le lacrime agli occhi.
Poi insomma, me ne sono fatta una ragione, voglio dire, ‘gnuno ci ha il suo senso dell’umorismo, alla fine di tutti i discorsi, quindi sono andata avanti a leggere, senza ridere.

I protagonisti sono (secondo me) dei giovani già vecchi. L’autore non ci dice che età hanno ma uno fa le sue deduzioni abbastanza in fretta, appena viene a conoscenza dei loro ritmi e dei loro comportamenti.
I giovani già vecchi mi piacciono un sacco, va detto.
Sono i vecchi che vogliono fare i giovani, che mi fanno paura, ma questo è un altro discorso.

Pensavo, finché lo leggevo, il libro, che io uno dei mestieri che mi piacerebbe fare da sempre è l’editrice.
Ora, io non so se il termine è giusto, insomma, intendo quella che riceve i manoscritti della gente e poi decide se metterli sul mercato o no.
Meglio che continuo a pettinare pollami invece, che come è vero che Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane) si è rivelato essere un grande successo, è altrettanto vero che a seguire il mio istinto avrei fatto la fame. L’avrei bocciato, voglio dire.

Sembrano tanti racconti lasciati nel cassetto, presi e uniti con l’intenzione forzata di riuscire in una storia completa.

Il capitolo quello dove si parla che la mostarda è carissima però mi ha fatto ridere, ci ho da essere sincera. Se volete ridere anche voi, andate direttamente a quel capitolo lì. Se prendete la mia stessa edizione, è il 12.

Ironia e pessimismo vanno a braccetto in un’insolita combinata, che trovo entusiasmante e intrigante ma che qui, non è ben sviluppata.

Morale del libro: le buone intenzioni, la forza di volontà, gli obiettivi, non vinceranno mai contro la pigrizia, ciò che rende realmente buffo il presente è il nostro passato.

Morale della recensione: “te si la solita bastian contrario, te ghè sempre da saver ‘na pagina in più del libro, tromba che l’è meio.”




venerdì 6 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n 33 "IL NOME DELLA ROSA", U.Eco

Vecio col Capel



Titolo: “Il Nome della Rosa”
Autore: Umberto Eco
Edito: Bompiani
Numero pagine: 618
Mese: Luglio/Agosto
Motivo che mi ha spinto alla lettura: consigliato dal mio babbo e da Nori, che ambo.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Subito lì per lì nelle prime pagine mi sono chiesta: ma chi me l’ha fatto fare?
Mi sono trovata davanti a questi periodi lunghissimi, a continue frasi in latino, a roba de cesa.
Che io con la religione non ci ho problemi lo giuro, è con la chiesa che non vado troppo a nozze.
Poi però mi son detta Silvia insistisci va avanti che se sia il Nori che il tuo babbo ti dicono che merita essere letto, ci hai da fidarti.

Mi sono fidata.
Però ci avevo un problema, che io il latino a scuola non l’ho fatto perché di liceo ho fatto quello degli artisti no quello dei secchioni.
Allora lì per lì un po’ di spavento mi è venuto mi son detta Cavolo vuoi fare quella che sa una pagina in più del libro, a fare finta di capire quello che leggi, come gli italiani che fanno finta di sapere lo inglese quando è che vanno all’estero e facciamo di quelle figure da italiani all’estero che gli esteri ci beccano subito che siamo italiani appena che apriamo la bocca.

Allora il mio amico Marco Aurelio si è proposto di farmi da traduttore simultaneo, però poi mi scocciava continuare a chiedergli allora ci ho rinunciato, che un’altra mia amica m’ha detto va avanti a leggerlo che il latino è il meno, è arrivare a pag 100 il vero problema, poi da lì in poi stai serena.

Quel fatto là che arrivare a pag 100 era il vero problema era vero, da lì in poi è anche vero che le pagine ti viene da pappartele tutte in un sol boccone.

Il problema, superato il latino, è che ho scoperto di sapere pure poco l’italiano.
Vacca boia quante parole che quando le ho lette ho tirato in giù le labbra e piegato le rughe della fronte:
concupiscibile, abitudini parche, cespuglio di stramonio, turrito, assiso, mulierbe, ipotiposi, ebdomadario, color cinabro, albagia quodlibetale, questuando, suffumigi, stolido,, aspetto tisicuzzo, ci salutò urbanamente, puteolante, contubernio, abiurato, vituperio, blasfema parusia, tellurico, neumi liquescenti e sub pontati.


Ma riprendi le fila, o mia recensione, chè questa Silvia senescente si attarda troppo nel raccontarla.

La trama.
1327, due frati uno vecchio e uno giovane, ci hanno da risolvere degli omicidi (sette in sette giorni) che ci sono in un’abbazia. Poi c’è una biblioteca che nessuno ci può entrare ed è un labirinto.

Questo sommariamente. Non perdete tempo a leggere la trama che ci scrivono sopra il libro che in due righe ve l’ho spiegata è questa.

Ecco, ovviamente non è che Eco in 618 pagine si limite a dire questo, c’è tutto un intreccio dietro, eh.

E poi si fanno un sacco di scoperte, dico davvero, ognuno magari ci fa le sue, ora vi elenco quelle che ho fatto io:



· Esiste un genere di sogghigno, conosciuto come “il sogghigno di commiserazione per la stoltezza dell’universo mondo”.

· Insulto medioevale (1) “Bestia di un teutone!”.

· Insulto medioevale (2) “Servo della puttana di Avignone!”.

· E’ certamente umano compiere degli errori, ma ci sono degli esseri umani che ne commettono più degli altri e vengono chiamati “stolti”. (“stolti” so  cosa significa, lo dico per orgoglio.)

· La giustizia non è mossa dalla fretta (con questa però Eco, hai pestato na merda eh? L’ha già scritto Dumas ne “Il Conte di Montecristo”.)

· Insulto medioevale (3) “Scannatore di apostoli!”

· Il mondo non ha un ordine ma almeno una serie di connessioni in piccole porzioni (questa ci ho da essere sincera, non l’ho mica capita.)

· Non esiste un solo diavolo ma molti tipi di diavoli. Adesso vi scrivo dei nomi, se ci avete la curiosità andateveli a cercare sulla enciclopedia, io l’ho fatto, ognuno ci ha il suo perché. I nomi alcuni sono: Adramelech, Alastor, Azazele, Abigor, Amon, Samael, Belial, Focalor, Zaebos, Leonardo.
In merito a ciò, volevo dire che ieri a cena col mio babbo si parlava di questo, che insomma io ero convinta di diavolo ce n’era uno e che si chiamava Lucifero, invece lì, il mio babbo, mi ha spiegato che i diavoli sono angeli ribelli cacciati in quanto tali dal paradiso “come te”, ha aggiunto.

· Non esiste solo la lussuria della carne, ma anche quella dell’intelletto, Trascrivo la mia pag 457, in merito: “il bene di un libro sta nell’essere letto, Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose, Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto. Questa biblioteca è nata forse per salvare i libri che contiene  (…)”

· Prima di morire, voglio leggere la Coena Cypriani. Un’altra volta, se non sapete cos’è cercatevela su internet. La voglio leggere a cuor leggero, che tanto lo fanno pure i novizi preti.

· Ora state attenti, alla prossima scoperta. Il numero 3, veniva usato per un sacco di cose bibliche, e questo lo sappiamo tutti senza guardare sulla enciclopedia e su internet, Ma però forse non tutti sanno che dentro al “Il nome della Rosa” c’è un elenco molto intrigante, in merito, ad esempio. 3 sono le classi di creature intellettuali: angeli, uomini e demoni, E poi c’è l’elenco, se volete conoscerlo compratevi il libro. Poi ce ne sono di cose interessanti anche sul quadrato. Il quadrato che è fatto di 4 punti, e 4+3 fa 7come i giorni che ci sono voluti ad esempi a creare il mondo, e 4x3 fa 12 come gli apostoli, e 12x12 fa 144 che è il numero degli eletti, e con questo chiudo, insomma, quel capitolo che parla di questa cosa io per me, anche se con la matematica non ci sono mai andata troppo d’accordo, spacca gli stinchi.

· Per formulare una ipotesi, bisogna formularne due al contempo, una in opposizione all’altra e tutte e due incredibili.

· Gli stolti talvolta hanno dei motti arguti che stupiscono ed entusiasmano pure i dotti.

· Esiste (forse, non posso dire con certezza) un’opera fatta di vaneggiamenti di un alchimista africano, certo che la creazione del mondo sia stata fatta per mezzo del riso divino. Eco ce ne scrive qualche riga, merita, facile che se esiste me lo vado cercare che prima di morire pure quello voglio leggere. Girano delle teorie davvero interessanti attorno alla potenza del riso. Sempre ammesso esista per davvero, quest’opera. Mai fidarsi troppo degli scrittori, son dei gran burloni.

· Si può dire (nel senso che è corretto) la parola NEVVERO per dire NON è VERO. Proprio come fanno i Cesaroni e la Ferrili sul 5 della tv.

· Insulto medioevale (4) “Scoreggione”. Cio’ che in realtà mi ha stupito, non è la parola in se’, ma il fatto che nei primi del 1300, per irritare qualcuno, si arrivasse ad usare questa immagine. Io era dalle elementari che non lo facvo più. Credo da oggi la rispolvererò, così, giusto per darmi un tono, e far capire che ci ho una certa cultura storica.

· Sempre a proposito di culo, pare che l’infuso di corteccia della fragola, sia il massimo dei rimedi omeopatici per curare le emorroidi.

· Un furto, alla maggior gloria del Signore, non è altro che un prestito.

· Tutti i posti in cui viviamo sono posti dimenticati da Dio. Non esistono posti scoperti finora, in cui Dio si sarebbe trovato a suo agio.

· La cipolla fa bene al coito.

· Il gallo, è un simbolo talora del demonio, talora del Cristo risorto. Questo fa del gallo un animale infido.

· Una delle espressioni che adotterò da qui a avanti sarà “imbecille nel corpo” (es. “Tu sei imbecille nel corpo!”)

· L’arabo non è composto da lettere dell’alfabeto ma da da una serie di vermicelli, serpentelli,  e caccole di mosche.

· Papa va con la “p” minuscola

· Non di rado i libri parlano di altri libri, ovvero è come se si parlassero tra loro

· Per non apparire sciocchi poi, è bene rinunciare ad apparire astuti ora

· Molti devoti di Satana, non ultimi i cavalieri templari, erano soliti baciare la terga turpitudine del di dietro di un gatto, nel corso delle loro riunioni.

· I giovani hanno più sonno dei vecchi, i vecchi si svegliano presto per prepararsi al riposo eterno.

· I semplici scelgono nemici deboli quando i veri nemici sono troppo forti.

· Il personaggio dal nome Salvatore che c’è lì nel romanzo, è come lo zingaro Pitt in “The Snatch”

· Insulto medioevale (5) “Ricettacolo di sterco”

· Insulto medioevale (6) “Figlio della prostituta di Babilonia e di altre sgualdrine ancora!”




Ecco, poi uno a vedere ne trova molte altre di scoperte e una buona dose di quelle che possono diventare citazioni, anche.

Dopo volevo dire, io i finali ci ho un potere, quando leggo i libri. Li intuisco sempre per tempo, io i finali, delle volte anche quando mancano tante pagine per finirlo. Questo è uno dei libri che non ci sono arrivata, però.
Mica perché ho perso il potere che ci ho, ma perché Eco è stato più furbo del lettore. Mi permetto di parlare al plurale, d’infilarvi in mezzo tutti, che sfido io chi ci ha avuto o ci avrà la intuizione di capire che l’abazia andrà in fiamme, alla fine.
Mi scuso con chi non l’ha ancora letto, ma svelare il finale di un libro era una delle 100 cose che volevo fare prima di morire.

Concludo rivolgendomi un’ultima volta al mio caro amico Marco Aurelio, se mi sta leggendo.
Mi traduci questa frase, che è la frase finale del romanzo, per piacere?

“STAT ROSA PRISTINA NOMINE, NOMINA NUDA TENEMUS”

Dimmi se sono diventata inconsciamente una latinista, con la mia traduzione.

QUESTO è IL NOME DELLA ROSA, CHE LA FA SCARESA QUANDO SI SPOGLIA IGNUDA.