mercoledì 18 settembre 2013

RECENSIONE Senza Candeggio n36: "Storie di Ordinaria Follia", C.Bukowski


Titolo: “Storie di Ordinaria Follia –erezioni eiaculazioni esibizioni”
Autore: Charles Bukowski
Edito: Universale Economica Feltrinelli
Numero pagine: 340
Mese: Agosto
Motivo che mi ha spinto alla lettura: una litigata col moroso.


RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITà.

Una litigata col moroso, è corretto.
Non scenderò nei dettagli, questa è una storia che resterà tra me e i più intimi dei miei amici.
Fatto sta, che mio moroso, insomma, diciamo che mi ha fatto questo regalo, insieme a molti altri, quel giorno.

E poi siamo qui a parlare di libri, no?  Eccoci qua, pronti.

I lettori più attenti e fedeli del mio blog, ricorderanno la passata recensione, fatta a Compagno di Sbronze. (Recensione senza Candeggio n 7 ).
Pure in quell’occasione vi ho parlato di questo libro, ricordate? La bibliotecaria col tic dei capelli?
Ecco, a distanza di anni l’ho riletto, con l’occhio un po’ meno furbetto, è chiaro, di quando ero una ragazzetta. L’occhio di chi è abituato a stare in mezzo alle zozzerie, che si scandalizza con un po’ meno facilità.
Ammetto che ai tempi, Storie di Ordinaria Follia, mi aveva più scossa, forse perché i misteri del sesso non li conoscevo ancora, forse perché gli anni 90 sono stati gli anni del Postalmarket, dove due minne strette in un reggiseno di pizzo bianco e una mutanda ascellare, erano il massimo del facile e reperibile erotismo che l’editoria proponeva, forse perché venivo da una cultura pudica, scandita dalla voce del Piccolo Principe e compagnia briscola.
Questo ricordavo dai tempi in cui avevo lasciato in sospeso Storie di Ordinaria Follia.
L’impatto.

Ma ora da grande, dopo una seconda lettura, ho preso coscienza del fatto che Buk, va ben oltre.
Che i veri racconti, raccolti in questo libro e capaci di farti bagnare le mutande, sono ben altri.
Io sul podio ad esempio ci metto

· Una Calibro 9 per Pagare l’affitto
· Appunti sulla Peste
· Un Brutto Viaggio

Ora, da grande, ora, che la passione per la scrittura sono sicura cosa significa, ora, non vedo Storie di Ordinaria Follia come un elettrizzante saggio sull’erotismo.

Ora, immagino Bukowski, che gli amici –sì insomma, la gente che conosce- non lo invitano da nessuna parte perché Charles, a uscire con Charles, facile che si vanno a fare delle gran figure di merda, ciò nonostante, gli amici –sì insomma, la gente che lo conosce- gli gran lecca il culo.

E io me lo immagino, lì che se la ride mentre ciuccia un bicchiere di vino o si scola una latta di birra, in  mutande, davanti alla sua macchina da scrivere, me lo immagino che ogni tanto prende, si sposta dalla scrivania, e va a vomitare nel cestino della carta. Liquido per lo più. E allora, noi che tutti conosciamo lo sforzo del vomito liquido, lo possiamo vedere lì, Charles mica il liquido, che torna alla sua scrivania, coi suoi occhi lucidi, battere un’ultima frase che resterà incompleta e dimenticata agli occhi del nuovo giorno, tanto è più forte l’impulso di lanciarsi a collassare sul materasso.

Me lo immagino con Hemingway, a parlare delle loro fobie, con le tende tirate per la paura di essere spiati dalla CIA, parlare sotto voce, per non essere intercettati dall’FBI.
Per poi finire a discutere animatamente, prendersi a pugni e poi fare pace con un bicchiere, alla loro salute e a tutti gli stronzi che consumano ossigeno in tutto l’universo mondo.
E farsi prendere dall’enfasi, per non perdere un secondo di quanto è appena successo, immortalare il tutto.
Hem battendo ogni parola in piedi, Buk stracciando e riscrivendo fogli su fogli.
E passato l’entusiasmo, tornare ai loro bicchieri, discorrendo di ippodromi e arene.

Me lo immagino circondato da gente che reputa utile e inutile al contempo, che trova utile per scrivere ma inutile da vivere.
Me lo immagino, raccattare mozziconi di cicche dal posacenere, da sotto il letto, da sopra il lavandino, scovarle, accenderle, infilarle tra i denti di una forchetta per non bruciarsi le dita, e me lo immagino, nei periodi  in cui le vacche sono grasse, col suo sigaro, mentre il fumo si confonde con il riverbero della lampada da tavolo, e la brace che scende a bucargli i calzoni. A prendersela con Dio per questo e molto altro, prendersela con lui a piacimento, lodandolo quando la sorte gli sorride e insultarlo quando il destino gli è avverso.
A lavorare di notte, a dormire di giorno, facendo dello scrivere il suo unico lavoro,

E ci appare scorretto, grottesco, e ci fa restare col fiato corto, con la sua bocca sporca di parole e il cervello intasato d’immagini ludre. Con la sua mano pesante che ci lascia, alla fine di ogni racconto davanti al compiuto e incontestabile dato di fatto che la sua penna è frutto di grande finezza, intelligenza e sagacia.

Lo leggi e tu sei lì, tra gli straccioni ubriachi che ostentano coraggio, che narrano e non narrano avventure,  mascherati dietro al loro  sudore acido, ai denti gialli, e al filo di saliva consistente che resta teso come una corda messa giusto lì, per unire il labbro superiore a quello inferiore.
Sei lì, tra le donne con le tette e i culi grossi e la patonza pelosa, che parlano d’amore.
Sei lì, in mezzo alla nebbia dello smog della California, una cappa pesante che resta però sempre fuori dalla finestra di una sudicia stanza in affitto a ore, che prima di te, e che a sua volta, ha conosciuto come unici visitatori cimici, zecche e scarafaggi.

Lo sporco che alza lo sporco, questo è.
E non è una questione di pessimismo, di disfattismo, di cinismo, ma di oggettività.
Quando parliamo di Bukowski, non parliamo solo di sesso, di alcol, di solitudine, della società che ci circonda.
Parliamo di un occhio attento che usa come mezzo la semplicità e la bassezza, per arrivare a toccare i pezzi di un domino fatto di falsità e incertezze, capace di crollare solo davanti all’altezza del suo avido pulsare sui tasti di un’arrugginita macchina da scrivere.




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