venerdì 22 febbraio 2013

RECENSIONE senza Candeggio n 15 "Storie del Bosco Antico" Mauro Corona

Il mio Ruvido preferito.



Titolo: “Storie del Bosco Antico”
Autore: Mauro Corona
Edito: Mondadori
Numero pagine: 148
Mese: Febbraio
Motivo che mi ha spinto alla lettura: cimentarmi in una lettura per ragazzi

RECENSIONE E OPINIONI DI DUBBIA UTILITA’.

Volevo leggere un libro per ragazzi, ma non so per quale  motivo, mi pare sempre che quando i libri sono destinati ai ragazzi, gli autori tendono a trattarli come scemi, o idioti, o tutte due le cose insieme, e comprare un libro così del genere non è che ce ne avevo troppa voglia.
Poi un giorno, così in libreria, scopro che quel burbero di Corona (l’alpinista, no il paparazzo scemo-idiota o tutte e due le cose insieme) ha dedicato una raccolta di racconti ai più giovini, mi sono detta Ah finalmente, e me lo sono portata a casa (pagando. No Corona. L’alpinista. No il paparazzo. Il libro.)

Amo la montagna, e anche i burberi, i libri già sapete, e mi sembrava che proprio avevo fatto un buon affare ad aggiungere alla mia libreria questo “Storie del Bosco Antico”.
Non mi sbagliavo.

Tempo indietro, avevo letto “Il Canto delle Manère” dello stesso autore, verrà il tempo di rileggerlo, di farci la recensione, ma nell’attesa io vi dico, compratelo “Il Canto delle Manère” perché è poesia ruvida allo stato puro.

E dunque ora parliamo di questo “Storie del Bosco Antico”.
Una raccolta di 44 racconti, tutti non più lunghi di due pagine, capitolati da fantastiche illustrazioni dell’autore in bianco e nero (credo in origine fossero acquerelli, peccato l’editore abbia scelto la versione monocromatica). E non sono i soliti manga con gli occhi giganti a cui siamo abituati, nemmeno caricature tenere, ma vere e proprie figure forse un po’ stilizzate ma perfettamente aderenti alla realtà.

Me lo immagino io, Corona, là seduto su un mozzo di tronco d’albero, col suo quaderno, la sua penna, i suoi colori, in totale solitudine, che ogni tanto smadonna, se un uccello gli ci caga in testa ma che imperterrito continua a riempire le sue pagine rosicchiando un panino secco, accompagnandolo con qualche tracannata di vino rosso.

E’ indubbio, il Mauro io lo preferisco quando si rivolge agli adulti, lo vedo più sciolto, più a suo agio con le sue espressioni dialettali, in mezzo ai suoi briganti, e alla sua solitaria sociopatia, tuttavia anche quando si rivolge a un pubblico più tenero, la fantasia che lo caratterizza non viene a mancare, i profumi, gli odori e i colori della montagna ce li regala in entrambi i casi, e questo credo sia l’importante.

Ecco quindi 44 storie di animali diversi, e delle loro mutazioni nel tempo. Bestie che si presentano ora con l’aspetto che conosciamo, per merito del loro passato, del loro vissuto, della mutazione genetica avvenuta per adeguarsi all’ambiente che li circonda. Fa strano, non chiedetemi il perché che non mi va di spiegarlo, come lo scrittore, decida di mettere nelle mani e nei meriti del Signore queste trasformazioni di cui vi ho parlato. Ad ogni modo, la cosa non crea fastidio, nel complesso tutto scorre e non sembra di stare a una lezione di catechismo o chechessò io.
E’ un libro per ragazzi, le morali non mancano. Anche se nessuno me lo toglie dalla testa, le morali sono fatte per gli adulti e non per i giovini.

Concludo trascrivendo il mio racconto preferito di questo libro, così vi fate un’idea. Il mio racconto preferito, fa “La Civetta”, di titolo.

La Civetta

La civetta prima di diventare civetta era una vecchia un po’ tocca che andava a tutti i funerali del paese e nei villaggi vicini. Molti la consideravano completamente pazza ma non era vero. La donna viveva in un mondo tutto suo, ma sapeva quello che faceva. Ad esempio, durante i funerali cantava nenie allegre perché, diceva, i morti vanno accompagnati con dolore lieve. “Sono andati a stare meglio” ribadiva ogni volta. “Bisogna cantare.” Ma chi aveva avuto la disgrazia in famiglia non era molto d’accordo. E la cacciava, a volte in malo modo. La consideravano una disgraziata, una che invece di piangere ai funerali cantava, una pazza. O peggio ancora una strega. Finì che anche la povera vecchia morì. La trovò un boscaiolo in una radura a metà di settembre, quando l’autunno dava i primi segni di presenza.
La portarono in paese dentro a una gerla perché era diventata minuta. Pareva che la terra della radura se la fosse risucchiata come una caramella.
“Facciamole il funerale” disse qualcuno. “Vediamo se canta anche al suo.”
“No! La bruciamo. Niente funerale. Questa va bruciata a uso le streghe.” dissero altri.
Il prete cercò di opporsi ma fu costretto ad arrendersi, Fecero un cumulo di ramaglie, vi misero dentro la vecchia che pareva un cartoccio e gli dettero fuoco. Dalle fiame salì un canto, il canto che la donna intonava ai funerali, Poi videro un uccello liberarsi tra il fumo e sparire. Aveva gli occhi grandi e misteriosi: era una civetta. Da quel giorno la leggenda vuole che ogni volta che canta la civetta, qualcuno debba morire. Ma è soltanto una stupida fandonia, il canto della civetta è bello e allegro, e soprattutto, non fa morire nessuno.


Ecco, io non so per voi ma per me è fico.
Seguirebbe pure l’illustrazione, come vi ho già detto.





Nessun commento:

Posta un commento